Nome d’arte Tanatolady, è una delle poche tanatoestete presenti in Italia, di stanza in Liguria e operativa anche in Lombardia e Piemonte. Al secolo Irene Nonnis, è una necrofora che ha seguito un preciso percorso di formazione per prepararsi a questo lavoro, tanto delicato quanto misterioso, del quale ancora poco si conosce.
Nella nostra società occidentale la morte è vissuta quasi esclusivamente come una tragedia, in Italia per lo meno non esistono programmi di educazione alla morte laddove facciamo fatica con quelli di educazione alla vita, e questo grande mistero spaventa perché ha un’unica voragine che è quella di portarci via le persone che amiamo. Irene Nonnis, invece, nei suoi profili social cura una rubrica che si chiama Presagi di Morte in cui tra una leggenda, un mito e antiche tradizioni, ci presenta un mondo interessante e ricco che gira attorno a ciò che più temiamo. Va detto, però, che in certe nazioni europee esistono dei programmi di avvicinamento e conoscenza alla morte, come in Inghilterra in cui è prevista proprio un’ora dedicata a questo argomento affrontato con albi illustrati e materiali “amichevoli”. Attualmente in Italia ci sono pochi tanatoesteti, nel nord del Belpaese si arriva a malapena alla decina e non è una professione regolata da un ordine nazionale con un albo, quindi è difficile quantificare con esattezza. Irene Nonnis è anche formatrice professionale. Nel 2019 ha fondato la Tanato Academy, il suo obiettivo è insegnare questo lavoro facendo però un’accurata selezione perché si tratta di una professione talmente delicata, dove la base di tutto è l’amore e l’empatia, a cui non si può pensare di avvicinarsi solo per moda o per fascinazione e nemmeno per una svolta economica. Oltre alla trasmissione della tecnica c’è quella di un approccio ben preciso dove il rispetto è essenziale. Si tratta di un lavoro impegnativo, che richiede un’alta reperibilità e un profilo di serietà assoluto. Tra le cose di cui si occupa Irene Nonnis c’è anche quella di organizzare l’addio all’animale domestico. Gli animali sono veri membri della famiglia e quando ci lasciano ci sono molte faccende da sbrigare e saluti da fare.

Per sapere di più sul suo lavoro, l’abbiamo raggiunta per un’intervista.
Irene, dove ti sei formata?
Ho frequentato la scuola per la formazione funeraria che, quando l’ho fatta io, era a Bologna e a Modena, mentre adesso si trova a Reggio Emilia.
Quando hai deciso di diventare tanatoesteta e perché?
Era l’estate del 2014 e dopo un ulteriore grave lutto che avevo avuto in famiglia, ho deciso di intraprendere questa strada.
Sei un esempio di come dai dolori si possano far nascere dei fiori.
È stato proprio questo il mio intento, non far vedere certe cose brutte alle persone come invece le ho vissute io. Mettere la bellezza in situazioni in cui questa cura e questo aspetto non esistono.
Tu ci tieni a precisare che non trucchi i cadaveri ma elimini i segni della morte dalle salme. È una differenza essenziale, puoi spiegarci meglio?
Quando si parla di truccare i morti è proprio la parola truccare ad essere fuorviante. In realtà, ciò di cui mi occupo è eliminare quei segni che la morte lascia come i livori, i pallori o le macchie ipostatiche che non sono belle da vedere. Quando una persona muore a causa di una malattia, la sua pelle può assumere delle colorazioni particolari, come tendere al giallo o avere degli ematomi. Io nascondo, con il trucco correttivo, quei determinati segni. Se poi, su richiesta della famiglia è necessario applicare anche il rossetto perché, per esempio, per una mamma era un gesto quotidiano, a cui teneva molto, allora si accontentano i famigliari. Ma è da precisare che non intervengo mai per cambiare i connotati o semplicemente fare il make up.
Quanto è importante per i famigliari?
Tantissimo, infatti quando vanno a dare l’ultimo saluto sono spesso spaventati, non sanno come potrebbe essere il loro parente o amico, ma con questa cura possono approcciarsi al proprio caro riconoscendolo.
Ti è capitato di dover ridare una dignità a dei volti di persone vittime di incidenti deturpanti?
Sì, mi è capitato e in questi casi si usano delle cere per la ricostruzione di parti mancanti o gravemente lesionate. Lavoro seguendo la fisionomia della persona defunta oppure sulla base di foto fornite dai famigliari.
Questo ci porta a capire che nella formazione del tanatoesteta c’è lo studio dell’anatomia umana oltre che tanta tecnica, tecnologia e materiali di cui sicuramente ignoriamo la portata.
Come hai ben compreso, non si tratta di prendere un pennellino e applicare del trucco, inoltre io mi occupo della preparazione della salma in sé, perché nella tanatoestetica il trucco arriva per ultimo. Prima si fa il lavaggio, la disinfezione e la chiusura degli orifizi. Ci prendiamo cura di barba, capelli, unghie e del vestiario.
Quando parli di elaborazione del lutto, per puntualizzare questo aspetto che in genere va in capo ad altre figure professionali come quella dello psicologo, cosa intendi?
Molto spesso i parenti e gli amici del defunto sono reticenti nell’andare in camera mortuaria, hanno proprio paura perché non sanno quello che possono trovare ma quando entrano e riconoscono la persona, nonostante l’offesa della malattia o di gravi deturpamenti, già una parte è colmata e questo riduce il trauma. Vedere un’espressione di serenità contribuisce un domani a un buon percorso di elaborazione.
Un’ultima domanda, quale aspetto nella tua esperienza è il più doloroso, il più delicato e quale il più bello?
Il dolore più grande si prova quando si ha a che fare con persone conosciute. I momenti più delicati e fragili riguardano la morte dei bambini o di giovani per i quali è difficilissimo farsene una ragione. La parte più bella è il ringraziamento dei parenti quando riconoscono il valore del mio lavoro non avendo mai pensato quanto questo li aiuti a ritrovare il proprio caro.