“La moda rende felici, almeno per mezz’ora” è il titolo del nuovo libro firmato dall’antropologo Franco La Cecla, uscito per Milieu Edizioni.
Un memoire di ragionamenti sulla moda in senso ampio, sulle mode, più precisamente. Parliamo forse di habitus, termine latino che indicava le consuetudini, le abitudini, addirittura quasi dei rituali, legati ad un individuo o alla comunità. In questo viaggio intorno al mondo, fatto di luoghi reali che spaziano dagli Stati Uniti al Giappone, La Cecla ci guida nelle sue riflessioni tranchant, spesso illuminanti e talvolta nostalgiche, che riportano alla dimensione di un viaggio anche interiore.

Come cambiamo, come evolviamo o involviamo secondo i dictat è l’oggetto di questo libro, più simile a una chiacchierata piacevole, a uno scambio di battute che a un saggio dal sapore didattico. Ma l’insegnamento arriva comunque, grazie alla sensibilità dell’autore e alla sua capacità di unire punti lontani del pianeta e del pensiero, che rende condivisibile praticamente ogni concetto espresso in queste pagine.
Rimane senz’altro la voglia di proseguire questo dialogo perché nonostante l’ampio spettro degli argomenti trattati, si percepisce che c’è di più e che quest’analisi può essere estesa a molto altro ancora.
La moda non è solo il vestito, la sfilata, la creatività. La moda è anche la relazione tra persone e cose, e ancora è la proiezione di desideri e aspirazioni singole o comuni. Per qualche ragione è specchio di una società e dei suoi moti ondosi, di quell’eterno revival che va spogliato dell’aspetto nostalgico per apparire sempre fresco e invitante, e di quella inesauribile sete di novità destinata a essere costantemente frustrata da nuovi input.
È un sistema, quello della moda. Un sistema che ha radici profonde nella cultura dell’uomo e che si presta però a riflessioni che travalicano l’abito per abbracciare rapporti umani, sensazioni fisiche, preoccupazioni. Ha quindi una forte componente empatica come motore portante, capace di spaziare tra i sentimenti così come sulla materia.
La Cecla parla di ferrovie e treni come di seni e gambe, della morte dell’architettura in favore del design, del fascismo delle panchine studiate per scacciare i clochard, di Honk Kong e Dolce & Gabbana, di piercing e tacchi, di sale da bagno e di burkini, di loft e di kalashnicov, di dandies africani e di elettrodomestici.
Come conciliare tutto questo in un libro? Con un pensiero fluido, aperto, capace di abbracciare il mondo e le connessioni che lo tengono insieme, e con la possibilità di narrare la vita in modo leggero, ironico e sagace.