Alla Galleria Siotto di Cagliari, in via dei Genovesi, è stata inaugurata lo scorso giovedì 8 febbraio la mostra di Federico Carta, in arte Crisa. L’esposizione, curata da Alice Deledda e Chiara Manca, si presenta con un titolo parlante e drammatico: ‘Solo macerie’.
Il concetto racchiuso già nella parola macerie evoca un senso di distruzione e ritorno alla forma primitiva; spesso sono il risultato di un evento incidentale, e altrettanto spesso di un volere diretto a causare devastazione. Come la guerra. Ed è proprio una riflessione sui conflitti in corso ad aver ispirato il progetto.
Anche la scelta della forma, dipinti e incisioni su materiali di recupero, veicolano un significato, in linea con i valori spesso ripresi dall’artista cagliaritano.
Conoscendo gli esordi dell’artista, che nasce come street artist, maturato poi in un modo d’arte più consapevole, è facile ritrovare un tratto semplice, in coerenza con lo stile che lo ha sempre accompagnato, in contrapposizione al peso del messaggio trasmesso.
Nonostante la costante presenza nelle gallerie Crisa è emozionato dal confronto con il pubblico. A presentarlo è Chiara Manca, anche curatrice del MANCASPAZIO a Nuoro.
È lo stesso Crisa a raccontarci il lavoro, la nascita del progetto e la sua evoluzione, accompagnandoci durante il percorso e descrivendo le opere, con semplicità, lasciando poi a ognuno la propria personale interpretazione.
Gli chiediamo quale sia il filo conduttore, e lui racconta che il concetto da evidenziare è quello della terra calpestata dall’uomo che, dopo il suo passaggio, spesso lascia un abbandono. Questa devastazione si riflette in uno stato d’animo, o più tangibilmente in materia, che l’artista recupera in vari cantieri e trasforma con l’uso del colore. Ci descrive un mondo di persone private della loro casa, ma nessuna di queste compare nei dipinti.
È ricorrente anche il tema dei confini, e viene spontaneo chiedere se la visione dell’artista si posizioni al loro interno o al di fuori. Sono entrambi punti di vista esplorati, anche quello dell’esatta coincidenza della demarcazione vista dall’alto, dove il caos si rileva anche per il vuoto creatosi.
Le opere esposte sono trenta: punti di bianco su sfondo scuro, intenso e denso mostrano una certa coerenza durante l’intero percorso.
“Il presente è oscuro. L’orizzonte è confuso, un unico grande colore che pervade e comanda. Brillano elementi di un bianco innaturale. Il nulla ha inghiottito ogni componente intima e l’umano inerme e abbandonato osserva un vago confine immaginario di cui non si vede fine – scrivono Alice Deledda e Chiara Manca. – I residui di una passata esistenza sono riconoscibili dai segni che intagliano la materia, eco di una sensibilità perduta. Questo mondo non sembra essere fatto per la delicatezza. Ciò che è stato creato viene disgregato. È sulle rovine che si trovano specchiate le immagini di una civiltà che non si può più definire tale. E in queste stesse macerie, che in origine rappresentavano opera di confine, Crisa riesce a trovare gli elementi di una umanità nascosta e in allerta, pronta a sorgere dai propri resti”.
Sarà possibile visitare la mostra dal giovedì alla domenica, dalle 18 alle 20, fino al 25 febbraio.