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Ritorno all’Asinara, il docufilm di Francesco Tomba ‘Dove nasce il vento’ racconta il viaggio di un ex detenuto nell’isola-carcere

Di Maurizio Pretta
27/11/2021
in Arte, Cinema, Comunicazione e società, Cultura
Tempo di lettura: 5 minuti
Ritorno all’Asinara, il docufilm di Francesco Tomba ‘Dove nasce il vento’ racconta il viaggio di un ex detenuto nell’isola-carcere

Rinaldo Schirru ha 65 anni e ha passato gran parte della sua esistenza in diverse strutture carcerarie. All’Asinara è rimasto per quasi cinque anni godendo del regime di “sconsegnato” e lavorando come allevatore. Oggi, dopo essere stato l’ultimo bibliotecario del carcere di Buoncammino e il primo di quello di Uta, è un uomo libero. A distanza di tanto tempo è voluto tornare, assieme alla moglie Ottavia, nell’isola del silenzio e del vento, dove ha lavorato e sofferto, a cercare una piccola rivincita in qualche ora di redenzione da contrapporre al suo travagliato passato. Il viaggio è stato documentato dal giovane regista Francesco Tomba, che ha voluto seguirlo in questa giornata particolare dalla quale è nato il suo primo film: ‘Dove nasce il vento’.

L’Asinara, lembo di terra che, leggenda vuole staccata da Ercole dal resto di Ichnussa e più tardi dimora provvisoria del leggendario pirata ottomano Barbarossa. Isola nell’isola che nei secoli è stata indicata con una lunga serie di nomignoli poco lusinghieri: l’Isola del silenzio, la Caienna italiana, l’Alcatraz o la Guantanamo del Mediterraneo, Castigo di Dio, Inferno dei vivi, Isola dei dannati. Un luogo che prima di diventare nel 1997 parco nazionale era stato demanializzato e destinato nei decenni a scopi sanitari e detentivi.

Negli anni delle grandi migrazioni verso le Americhe venne utilizzata come purgatorio, dove veniva attuato un severo regime quarantenario per i passeggeri dei transatlantici italiani respinti dai porti di Montevideo, Buenos Aires o Santos, dopo che a bordo si erano verificati gravi casi di colera, peste bubbonica, tifo esentematico e altre malattie contagiose. Ma se per questi sfortunati, che avevano tentato la disperata carta della traversata oceanica per cercare migliore fortuna, l’isola rappresentava in qualche modo la fine di un’odissea, non si può dire altrettanto per chi vi arrivava in qualità di detenuto o prigioniero.

Lo sperimentarono sulla loro pelle i soldati dell’esercito austroungarico, catturati durante il conflitto 1915 – 1918 spediti a migliaia sull’isola adattata a campo di concentramento a morire di fame o ammalati; o gli oppositori del Regime fascista condannati dal Tribunale Speciale e i deportati libici ed etiopi, fra i quali figuravano Romanework Haile Selassie, la figlia del Negus, e i suoi figli.

La sezione sanitaria ai primi del Novecento.

Per il resto l’sola fu un grande carcere a struttura diffusa con diverse sezioni destinate a colonia agricola, che occuparono anche quelle originariamente create per scopi sanitari, che conobbe un notevole sviluppo nel secondo dopoguerra fino alla trasformazione in un vero e proprio supercarcere, dal quale, per la conformazione dell’isola, era quasi impossibile scappare. Vi riuscirà soltanto Matteo Boe nel 1985. Dagli anni Sessanta e Settanta ospiterà brigatisti rossi, napisti, ordinovisti neri, boss della mafia e della camorra, sequestratori, truffatori, rapinatori e criminali di ogni ordine, grado e nazionalità. I nomi più altisonanti sono quelli di Cutolo, Buscetta, Curcio, Ognibene, Abatangelo, Concutelli, Vallanzasca, Riina e tantissimi altri.

Rinaldo Schirru vi giunge dopo una condanna a nove anni nel 1979 nel periodo più turbolento della storia dell’isola. I detenuti, soprattutto quelli di estrazione politica di sinistra, lamentano a gran voce le condizioni disumane delle strutture e del regime carcerario caratterizzato da vito insufficiente, isolamento, violenze e angherie di ogni sorta. Da questo stato di cose nascono i tentativi di evasione, gli scioperi della fame e le violente rivolte, fra le quali fece storia e clamore quella dell’ottobre del 1979.

Certo, per Rinaldo che “sconsegnato” gode di un regime di espiazione più morbido e occupato come allevatore ha la possibilità di stare per tanto tempo all’aria aperta e di potersi muovere liberamente in una vasta zona dell’isola, è diverso. Tuttavia rimane pur sempre un carcerato con le difficoltà e le sofferenze che questo comporta. Questo è quanto racconta spontaneamente, alla camera da presa di Francesco Tomba, rivisitando quei luoghi, che, nonostante siano passati decenni, conosce ancora palmo a palmo. Partito da San Basilio, in compagnia della moglie Ottavia, ripercorre le giornate passate ad annusare il vento, il lentischio e l’elicriso; ricorda la destinazione d’uso dei luoghi, le persone e la vita che vi si conduceva, compiendo un lungo flashback fisico, ma soprattutto interiore, nel suo passato.

La rivolta del 1979 in una foto attribuita ad Aldo Bonasia.

Tutto è nato da un’idea della fotografa Rosi Giua che assieme gli altri volontari dell’associazione Tusitala, Carlo Birocchi, Dario Cosseddu, Raffaele Cattedra, Luisanna Pani e in collaborazione con le associazioni Chourmo e Terra Atra fra il 2011 e il 2019 ha lavorato con i carcerati di Buoncammino e Uta, conoscendo così anche Rinaldo, che sviluppando negli anni di reclusione una passione viscerale per il libri e la poesia, si è messo a disposizione degli altri detenuti in qualità di bibliotecario.

Il film è stato realizzato con il sostegno e il patrocinio del Parco Nazionale dell’Asinara, il contributo della Fondazione di Sardegna, della Fondazione Sardegna Film Commission e di diversi partener volontari, tra associazioni e privati (tra cui Università di Cagliari, Possible Film, Società Umanitaria Sarda, Medu-Medici per i diritti umani, Associazione Chourmo e Associazione Senza Confini di pelle.

Ad agosto, ‘Dove nasce il vento‘ è stato presentato al Tagore film festival, in India, dove si è aggiudicato l’Outstanding achivement award. Nelle scorse settimane è stato invece selezionato nella categoria “La prima cosa bella” (opera prima) dell’Asti film festival che si svolgerà dal 14 al 18 dicembre.

Non è affatto male l’opera prima di Francesco Tomba che ha saputo catturare, senza forzature di scena, l’anima e le emozioni di Rinaldo – sottolineate dalla musica di Mick Taras – questo “piccolo” Papillon sardo dal nome cavalleresco, che riassapora da qualche anno la libertà dedicandosi alla scrittura, alla terra e a confezionare apprezzati lavori in pelle, col proposito di riuscire a dare una mano a chi è ancora carcerato: “è arrivato il momento di aiutare gli altri”, dice, dopo aver scontato ancora tantissimi anni dietro le sbarre, rivendicando sempre la sua innocenza. Lo hanno salvato i libri e l’amore per la famiglia, come ha scritto nel suo libro ‘Diario di un detenuto’: “Per anni, la mia vita era una barca alla deriva. I miei figli sono stati il vento. Con amore hanno soffiato sulla vela riportandola in salvo al porto” .

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