Appuntamento di quelli da ricordare, quello di lunedì 28 ottobre, per i cinefili sassaresi che da anni si danno appuntamento al Cityplex Moderno con la voglia di fare scorpacciate di cinema d’autore. Ospite d’eccezione della rassegna cinematografica L’ombra della luce, promossa dallo stesso Cityplex con la direzione artistica del regista Antonello Grimaldi, il critico cinematografico più amato e temuto d’Italia Paolo Mereghetti.
La rassegna, giunta alla sesta edizione intitolata Film d’autore e cinema mainstream, richiama ogni anno un pubblico vasto quanto eterogeneo, cinefili incalliti ma anche neofiti della settima arte desiderosi di scoprire quel cinema di qualità che troppo spesso spaventa chi è cresciuto a pane e Marvel. Ogni lunedì la sala del Cityplex ospita registi e critici cinematografici che introducono il film in programma e raccontano retroscena e contesto delle pellicole.
Paolo Mereghetti ha attirato, come prevedibile, il pubblico delle grandi occasioni con la doppia presentazione del film “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” del regista Pedro Almodovar, e del suo famigerato “Dizionario dei film” nell’edizione trentennale 1993-2003.
“Il Mereghetti“, 35mila schede per 7560 pagine, più 2352 pagine di indici e Marilyn Monroe in “Fermata d’autobus” sulla copertina, è la bibbia di ogni vero appassionato di cinema. Dentro c’è un mondo, catalogato rigorosamente con schede e stelline che decretano successi e insuccessi di critica. Non c’è pellicola che alla sua uscita non passi al vaglio del critico milanese, che da anni cura anche una rubrica sul Corriere della Sera.
Durante la serata sassarese, in dialogo col giornalista e critico cinematografico della Nuova Sardegna Fabio Canessa, Paolo Mereghetti ha raccontato come negli ultimi anni si assista a una evidente riscoperta del cinema d’autore, anche grazie al lavoro di molti appassionati e alle numerose rassegne che permettono di recuperare pellicole restaurate, come nel caso del festival Il Cinema Ritrovato realizzato dalla Cineteca di Bologna.
Il fatto che nei prossimi mesi tornino nelle sale film come “Paris Texas“, “Pulp fiction“, “Frankenstein junior” e “Il padrino 2” la dice lunga sul desiderio del pubblico di vivere il cinema di qualità come “un fatto collettivo, che ci fa sentire parte di una comunità – quella degli spettatori – che ci obbliga a vivere la città”, per usare le parole dello stesso Mereghetti. “Non sempre, recentemente, escono dei capolavori al cinema e rifarsi gli occhi ogni tanto rivedendo film di Chaplin, Buster Keaton, Fritz Lang o Buñuel è una manna dal cielo, perchè mi sembra che la mia testa continui a funzionare, grazie a un tipo di cinema che offre allo spettatore un modo diverso di vedere le cose”, ha aggiunto.
Durante la serata il critico ha giocato con il regista Antonello Grimaldi al gioco della torre, scegliendo coppie di film – anzi di filmoni, di quelli da antologia – da salvare o sacrificare. Il tutto condito da riflessioni e momenti ironici, che hanno lasciato trasparire la passione del critico e il suo lato giocoso. Al termine dell’incontro ha risposto a un paio di domande per i lettori di Nemesis Magazine.
Come vive questo trentennale e come è cambiato il suo approccio con la critica cinematografica? In linea di massima direi che non è cambiato, nel senso che ho sempre pensato che la critica, in generale non solo quella cinematografica, fosse una cosa importante. Io ho fatto il ’68 e allora alla Statale di Milano il lavoro culturale ci sembrava una cosa fondamentale. La critica era qualcosa di altrettanto importante e continuo a pensare che sia qualcosa che possa aiutare chi la legge a entrare dentro e capire l’opera che ha di fronte, che si tratti di un film, un quadro, un testo teatrale o musicale. Quello che è cambiato può essere la capacità di collocare il film all’interno di un certo momento storico. Alcune pellicole quando sono uscite mi sembravano più importanti, penso ad esempio a De Palma, mentre ora hanno fatto il loro tempo. Altri film magari non li avevo colti nella loro interezza, “Il bidone” di Fellini ad esempio, degli anni ’50, che fece intuire l’italia del boom e i limiti di quella ricchezza. O come “La vita agra”, che allora non fu amato dalla critica e poi invece lo rivedi adesso e ti accorgi che Lizzani era uno dei pochi registi italiani che facevano i conti con la nouvelle vague. Il tempo serve, ecco.
L’intelligenza artificiale si sta diffondendo anche in ambito artistico, come vede il ruolo rispetto alla critica cinematografica? Pensa che possa cambiare la percezione del pubblico verso il cinema e la critica stessa? Io continuo a fidarmi dell’intelligenza umana, nel senso che l’intelligenza artificiale di fatto rielabora tutto quello che è stato già digerito, però rielabora, non crea nulla. Credo che se un critico si fa capire, se dice e scrive le cose in modo da non allontanare il lettore ma lo aiuti a entrare nelle cose, secondo me c’è ancora spazio per cui la gente si fidi della critica umana. Il tema è delicato, solleva problemi di tutti i tipi che non siamo ancora nemmeno capaci di affrontare completamente. Ma l’intelligenza artificiale, per quanto sviluppata, non sarà mai in grado di fare “Un Chien Andalou”, “La dolce vita” o “Un dollaro d’onore”.