
La notizia sostanzialmente è questa: il playground delle Wise Towers, realizzato dal grande artista Costantino Nivola insieme a Richard Stein, a New York, nel 1964 è stato distrutto.
Vandalismo? Macché! Ignoranza. Perché è solo l’ignoranza che può portare a distruggere a colpi di mazza delle opere d’arte per realizzare un progetto di “rinnovamento” dell’area.
Rinnovamento di cosa, poi?
I cavallini che Nivola ha realizzato sono stati ispirati ai cavalli a dondolo dell’infanzia di ogni bambino e alla statuaria orientale. Queste opere, il più grande progetto pubblico dell’artista oranese a New York, sono state rimosse e le gambe delle statue distrutte a colpi di mazza.

Una violenza istituzionale brutale, “inspiegabile e scellerata”, come ha scritto la Fondazione Museo Nivola di Orani, nella sua pagina Facebook. Perché inspiegabilmente? Perché da poco l’artista sardo era stato celebrato con la mostra Nivola. Figure in Field l’anno scorso, alla Cooper Union, e un’altra mostra su Nivola verrà inaugurata l’8 maggio al Magazzino Italian Art, Nivola: Sandscapes.

E allora diciamo le cose come stanno: questo è un vero e proprio atto barbarico istituzionale. Perché il “rinnovamento” di un luogo ci può essere, ci deve essere, rispettandone però le caratteristiche, la storia, l’arte, il paesaggio urbano. E quei cavallini, quel “parco giochi” non erano solo di Nivola o di Stein: erano di tutti i newyorkesi. Facevano parte del paesaggio urbano della Grande Mela.
Perché avviene questo? Probabilmente per un’atavica mancanza del senso della storia che ancora aleggia nelle menti di tanti, troppi, americani, convinti che un luogo non abbia storia prima del loro arrivo. Che in un “prima” ci fossero nativi americani o nuovi americani, poco importa. “Se la storia non la faccio io, quel luogo è senza storia, senza significato o con un significato blasfemo. Senza importanza”, sembra essere il messaggio di quest’azione.
Un pensiero ignorante, brutale. Come quello dei talebani che nel 2001 distrussero le statue di Buddha di Bamiyan, in Afghanistan. Gli stessi talebani che gli Usa combattettero anche in nome di una presunta superiorità morale. Che, evidentemente, non c’è.
