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”Némos, andando per mare”, il tributo al mondo agropastorale nel nuovo film di Marco Antonio Pani

Di Mattia Lasio
17/05/2025
in Cinema, Cultura
Tempo di lettura: 5 minuti
”Némos, andando per mare”, il tributo al mondo agropastorale nel nuovo film di Marco Antonio Pani

“Itaca rappresenta la realtà, il mondo con tutto ciò che lo riguarda, nel bene e nel male. È una buona scusa per viaggiare, un posto da raggiungere proprio come la Sardegna. Ecco, per me Itaca è la Sardegna che vorrei: un’isola felice in cui chi è straniero è sempre benvenuto per le cose che può portare, fare e raccontare. Un’isola che possa determinare il proprio destino sulla base dei propri principi senza dover obbedire a leggi scritte non per lei ma, spesso, contro di lei”. Marco Antonio Pani parla del suo nuovo film ‘’Némos, andando per mare’’, prodotto da Altamarea Film con distribuzione MyCulture Distribution e uscito nella sale l’8 maggio per la prima volta al Cityplex di Sassari e il 9 maggio al Cinema Odissea di Cagliari, con la consapevolezza che i concetti di viaggio e di ricerca si nutrono anno dopo anno di nuovi elementi e di sfumature che meritano di essere colte.

Sfumature di cui è ricco il suo nuovo lavoro, una rilettura in lingua sarda dell’Odissea e del cammino di Ulisse verso Itaca sospeso tra la dimensione onirica e la concretezza del mondo agropastorale, girato magistralmente in bianco e nero, scelta questa che dà una marcia in più a un’opera, dalla durata di poco meno di due ore, capace di condurre verso nuovi lidi, in una dimensione dove il sogno si fa concreto diventando esperienza catartica necessaria, seppur dolorosa, per conoscersi nel profondo.

E proprio dal sogno, quello di un pastore appassionato di poesia estemporanea interpretato da Giovanni Masia, prendono il via le vicende di ‘’Némos’’ in cui dal contesto di una gara poetica tra i poeti improvvisatori Bruno Agus e Giuseppe Porcu ci si sposta alle avventure di Ulisse nel poema omerico nel momento in cui il pastore si assopisce subito dopo aver posato il suo sguardo su un volatile che sembra quasi anticipare ciò che lo attende e che accadrà di lì a poco.

Tanti i frangenti intensi della pellicola, come gli istanti in cui Ulisse e Calipso, interpretata da Silvia Senes, parlano distesi sulla spiaggia e contemplano il cielo stellato con Calipso che cerca ancora una volta di convincere l’eroe dal multiforme ingegno a rimanere con lei. Altro momento degno di nota è l’incontro tra Nausica, interpretata da Luana Fois, e Ulisse da cui traspare una grande dolcezza e purezza racchiusa negli sguardi e nei silenzi privi di parole ma colmati dalle musiche suadenti di Stefano Guzzetti.

Immancabile anche la componente ironica che traspare, in particolare, nella scena in cui Ulisse e i suoi uomini incontrano Polifemo, interpretato da Paolo Mele, ironia amalgamata sapientemente alla malinconia nei dialoghi tra Ulisse, il re dei Feaci Alcinoo e la moglie Arete, interpretati da Francesco Spada e Valentina Carta, con richiami alla tradizione dei ”sos contos”, i racconti attorno al fuoco della tradizione sarda, senza dimenticare anche gli intermezzi – valore aggiunto della pellicola – in cui gli intervistati raccontano le peripezie di Ulisse con arguzia e una buona dose di umorismo pungente che non guasta di certo. Da sottolineare anche la ricchezza linguistica usata dai personaggi: si va dal logudorese con le varianti olmedese, fonnese, ittirese, nurrese, oroseina e irgolese, passando per la parlata catalana di Alghero sino ad arrivare al campidanese e alle sue varianti cagliaritana, nuraminese e sanbasilese. Varianti linguistiche che conferiscono ritmo e vivacità ai dialoghi in cui colpisce anche la gestualità grazie ai primi piani che lasciano il segno.

 Nulla è lasciato al caso nel nuovo lavoro di Marco Antonio Pani, girato in svariati luoghi tra cui Olmedo – paese natale della madre del regista in provincia di Sassari – la costa di Alghero, Orosei, Ittiri, Uri, Baunei, il territorio di Sassari, Porto Ferro oltre che Cagliari, San Basilio, Nuraminis. “L’idea di realizzare un film sull’Odissea in sardo – racconta il regista classe 1966 nato a Sassari e cresciuto a Cagliari dall’età di 6 anni, con radici tra Cuglieri e Olmedo paesi natali del padre e della madre – ha radici lontane e risale esattamente al 2005, anche se il mio primo ricordo di Ulisse risale a molto tempo prima, per la precisione al 1968 quando vidi la serie televisiva girata da Franco Rossi, con protagonista Bekim Fehmiu. Mi colpì subito il coraggio fuori dal comune di Ulisse, oltre alla sua furbizia e alla sua temerarietà. Il mio film ha una gestazione di vent’anni proprio come i vent’anni che hanno tenuto lontano Ulisse da Itaca. Ha giocato un ruolo centrale nella realizzazione di questo progetto, a cui ho cominciato concretamente a lavorarci nel 2019, la mia esperienza in Spagna dal 2000 al 2010, che mi ha arricchito tantissimo sotto il profilo tecnico e umano, infatti è proprio durante quel periodo che ho iniziato ad approfondire le sceneggiature in chiave demo-antropologica”.

La scelta di ambientare il tutto in un contesto agropastorale non è assolutamente casuale. “Conosco bene questo tipo di mondo – spiega – essendo mia madre di Olmedo, paese in cui da bambino ho trascorso tanto tempo e che mi ha trasmesso suggestioni forti e indimenticabili, che mi hanno permesso poi di crearmi un immaginario unico e del tutto peculiare. La bellezza del mondo agropastorale sta nella sua purezza ancora intatta, mai andata persa: è riuscito a mantenere i suoi valori intatti e questo mi affascina parecchio”.

Il fascino di una natura ancora incontaminata, distante da quella tecnologia che, troppo spesso, diventa totalizzante e distoglie dalle piccole cose ritenute erroneamente di poco conto: questo è uno dei tratti più caratterizzanti della pellicola, reso ancora più evidente dalla scelta del bianco e del nero. “Dal punto di vista artistico – sottolinea – mi piace di più esprimermi con questa modalità. È una scelta stilistica che mi permette di descrivere meglio il mondo sospeso tra sogno e realtà, azzerando lo spazio e il tempo”. A vent’anni esatti da quando cominciò le riprese di ‘’Panas’’ cortometraggio incentrato sulla leggenda dei fantasmi delle donne morte di parto, Marco Antonio Pani approda dove le sue origini affiorano, il paese materno Olmedo, tenendo fede al tema cardine dell’Odissea ovvero quello del ‘’nostos’’, il ritorno dove risiede la propria parte più pura e autentica. Una purezza che non bisogna stancarsi di ricercare, nonostante i venti spesso contrari rendano la navigazione ostica. “Poco importa – conclude con il sorriso sulle labbra – se il tragitto verso Itaca è tortuoso. Alla fine è il viaggio quello che conta e, nonostante tutto, vale la pena affrontarlo e viverlo appieno”. 

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