Novità del giorno, del mese, bella fresca ed inedita per voi.
Passiamo dal mainstream, dall’album che stavamo aspettando della super star o della super band all’opera prima di un gruppo che muove da poco i propri passi ma che ci colpisce per la sua potenza ed immediatezza.
Eccoci allora ad ascoltare con grande attenzione il nuovo, il primo, album omonimo dei “Musa Dagh”.
La band è composta da Aydo Abay (ex Blackmail), Thomas Götz e Aren Emirze e la cosa più strabiliante è che non vi sarà facilissimo, almeno ad oggi, reperire tante informazioni riguardo tale combo soprattutto se non masticate il tedesco; ebbene si, al momento (io tifo per la loro imminente e globale espansione mediatica) la maggior parte delle informazioni sono su siti in lingua alemanna vista l’origine del combo.
Non è comunque un problema, siamo qua per parlare di musica e posso assicurarvi che già dalla prima traccia “Coin Bank” non ho potuto staccare i miei sensi auditvi dalle onde sonore scaturite dal trio. Ci troviamo di fronte ad un rock dai toni progressive ma anche molto diretti che riesce a ricordarmi sia band come Battles, Motorpsycho o Amplifier per la struttura ma anche i Cave In per una certa freschezza ma che al contempo è riuscita, in canzoni com “Plural Me” a rievocarmi i primissimi Manic Street Preachers di “Spectators to Suicide”
“Musa Dagh” è un album di 10 tracce dalla durata complessiva di circa 30 minuti che, se all’apparenza potrebbero sembrare pochi e quasi più in una certa direzione dell’album fatto apposta per le radio (durata media 3′:30″) invece riesce a dimostrare di contenere diverse variazioni interne ma ponendosi in un ben determinato punto di equilibrio tra l’omogeneità e la spazialità delle soluzioni adottate.
C’è veramente tanto da ritrovare in questo album che però non suona assolutamente come un compilation di temi copiati male bensì, ascoltato e riascoltato, ha una sua ben definita struttra variegata e godevolissima.
Ed ora scusatemi, sto andando a ripassare il tedesco mentre continuo senza sosta ad ascoltare “Musa Dagh”.
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