Il mito aleggia immortale nei millenni. Storie e personaggi hanno viaggiato nel tempo non per essere credute ma raccontate senza interruzione, ogni volta con nuove aggiunte e metamorfosi. George Steiner affermava che ciò che rende eterno il mito greco è la sua “energia di reiterazione”, ovvero l’insuperabile capacità di narrare la contemporaneità al di là del tempo. “Sono assolutamente d’accordo. E anche per questo che ho voluto riprendere Medea con l’energia di reiterare una storia che proseguirà. Prima di ripiegare nell’altra faccia della luna, i greci ci hanno lasciato un’infinità di temi che dobbiamo continuare a indagare” afferma Mattia Sebastian Giorgietti, regista della pièce Medea/Fragments che sabato 27 alle 20 nell’area archeologica di Nora firma con Benedetta Laurà, Elisa Bruschi, Anna Germani, la chiusura della quarantaduesima edizione del festival La notte dei poeti allestito dal Cedac. “E’ un lavoro nato nel 2014 in Giappone in occasione del festival internazionale diretto da Tadashi Suzuki, strutturato sul percorso fatto da Heiner Muller. In questa messinscena ho introdotto qualche piccola modifica. Una è la figura di Giasone che viene interpretata da una donna, una sorta di proiezione creata da Medea del marito che l’ha abbandonata”.
Cos’altro ha di diverso questa Medea?
“Euripide, Sofocle, Grillparzer si concentrano sulla narrazione della tragedia che colpisce Medea, ma quella è la risultante di qualcosa che Muller sviluppa maggiormente e riguarda il viaggio degli Argonauti inteso come primo passo verso la colonizzazione. Attraverso l’immagine di un soldato morto, identificabile con Giasone o un militare di ieri o di oggi, Muller entra in un nuovo spazio, perché attraverso il tradimento, lo stupro, il rapimento o l’innamoramento di una donna del luogo viene creata la figura di Medea. Gli Argonauti diventano la mia base di partenza per poter parlare di Medea, che tradita e umiliata compie un atto estremo e politico al tempo stesso, come quello di punire Giasone, sottraendo agli amati figli una vita che li avrebbe visti per sempre reietti”.
Quello della colonizzazione, dell’invasione, è un tema purtroppo di stretta attualità…
“In Europa, in America, in Medio Oriente, assistiamo all’avanzata di nazionalismi sempre più pericolosi. Si chiudono le frontiere, i porti, si costruiscono muri, si invadono territori. Una deriva molto pericolosa”.
Sul fronte registico come ha lavorato?
“Ho introdotto un personaggio che è l’Angelo della Storia, una prostituta, colei che è testimone degli orrori perpetrati negli scenari di guerra dell’umanità. Tutto si svolge su una grande spiaggia dove c’è stato un massiccio sbarco di soldati che moriranno. Soldati che possono del passato, del presente, del futuro. Lo spazio contiene la morte ed è il contenitore delle storie. Con l’immaginazione noi possiamo pensare a quello che è successo al suo interno. Lo spazio diventa il mito della narrazione e l’Angelo della Storia è il testimone inconsapevole, non giudicante, sempre perplesso e meravigliato di ciò che l’uomo è capace di fare. All’interno di questo spazio trova un soldato che racconta la sua storia di colonizzatore giunto lì per prendere il Vello d’oro, ma sarebbe potuto essere il petrolio, i minerali. Alle sue spalle si muove la figura di Medea, ormai senza più l’identità del passato”.
Oltre a Euripide e Muller affiorano altri autori?
“Shakesperare, Beckett, Apollonio Rodio, Seneca. Inoltre ho inserito alcuni frammenti riguardanti commentatori americani che descrivevano quando Marilyn Monroe andò in Vietnam a rincuorare le truppe”.
Viviamo tempi in cui le mamme Medea sono aumentate…
“Penso che non siano mai diminuite, solo che ora ne abbiamo più coscienza e ne siamo più informati”.