Il mal d’amore. Oggi ci sembra solo un modo di dire, un’espressione poetica per descrivere il dolore della perdita o della nostalgia. Ma fino al diciannovesimo secolo è stato considerato una vera e propria malattia, temuta, studiata e curata. I trattati di medicina lo descrivevano con la stessa serietà riservata a febbri o infezioni, e la letteratura lo immortalava come una sofferenza capace di consumare anima e corpo. Una malattia usata, inoltre, per consolidare pregiudizi e differenze di genere che, in parte, sopravvivono ancora oggi. Il tema è stato al centro della conferenza-spettacolo ‘Mal d’amore. Divagazioni di genere nella tradizione medica occidentale’, ospitata il 7 marzo allo spazio teatrale DOMOSC di Cagliari.
L’evento è stato realizzato da Annagiulia Gramenzi, ricercatrice indipendente e docente di medicina interna e di storia della medicina all’Università di Bologna, in collaborazione con il laboratorio filosofico ‘Pensare in Presenza’ curato dalla filosofa Nora Racugno, moderatrice del talk di fine spettacolo. La regia è stata affidata a Ilaria Nina Zedda, direttrice dalla compagnia teatrale L’aquilone di Viviana, con la direzione tecnica di Marco Quondamatteo. Attraverso una combinazione di ricerca storica, performance teatrale e riflessione critica, lo spettacolo ha esplorato il rapporto tra medicina, cultura e pregiudizi di genere nel trattamento del mal d’amore.
Genesi ed evoluzione del mal d’amore, tra medicina e letteratura

Il concetto di malattia d’amore affonda le sue radici nella medicina antica. Già nel V secolo a.C., Ippocrate descriveva il mal d’amore come una patologia dai sintomi fisici reali. Ancora prima, nel III secolo a.C., il medico alessandrino Erasistrato diagnosticò il mal d’amore al principe Antioco, figlio del re di Siria Seleuco, innamorato di una donna proibita: sua matrigna Stratonice. Tastando il polso e osservando l’accelerazione del battito cardiaco del giovane alla sola menzione della donna, Erasistrato dedusse che la causa della sua debilitazione fosse l’amore, identificando così il pulsus amatorius, il più antico sintomo del mal d’amore. Questa scena simbolo dell’amore come malattia ispirò opere d’arte fino all’Ottocento, come il dipinto di Jacques Luis David del 1774, ‘Erasistrato alla scoperta della causa della malattia di Antioco dal suo amore per Stratonice’.
Il battito cardiaco irregolare era solo uno dei tanti segnali: i medici bizantini ampliarono la lista dei sintomi, indicando segni fisici ed emotivi come tremori, insonnia, irrequietezza, mancanza di appetito, sete, sonno, pallore, occhi infossati e sospiri continui. Questi segnali venivano letti come espressioni di un malessere che non riguardava solo il corpo, ma anche l’anima, e questa tendenza si rifletteva in tutta la cultura europea, incarnata in particolare nel dialogo costante tra medicina e letteratura. Già nella Grecia antica Saffo, nell’ode ‘A me pare uguale agli dei’ , scritta circa un secolo prima di Ippocrate, parlava dei sintomi della gelosia e dell’amore non corrisposto attraverso una sintassi e figure retoriche che ricordavano le descrizioni cliniche, dando vita a una fusione unica tra medicina e letteratura che proseguirà nei secoli successivi, delineando l’evoluzione degli studi sul mal d’amore.
“Tra Medioevo e Rinascimento, poeti e artisti frequentavano corsi universitari di medici per apprendere la dottrina del mal d’amore, onde evitare giudizi morali su temi erotici e scabrosi – spiega Annagiulia Gramenzi – Allo stesso modo, i medici utilizzavano citazioni letterarie e mitologiche a supporto dell’esperienza clinica. Di conseguenza, i pazienti spesso sembravano riflettere i personaggi della letteratura, contribuendo a diffondere una semiotica condivisa del mal d’amore”.
Numerosi esempi letterari mostrano come l’amore possa portare alla sofferenza fisica e mentale: nel Decameron, precisamente nell‘ottava novella della seconda giornata, Giovanni Boccaccio descrive la scena di un giovane medico che scopre il malessere di un paziente semplicemente tastandogli il polso, rievocando il pulsus amatorius scoperto da Erasistrato. Dante Alighieri, nel quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia, ci parla dell’esplosione della passione tra Paolo e Francesca, culminato in un bacio “tremante”. Un altro esempio citato durante lo spettacolo è il caso di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini nel Quattrocento, descritto come un uomo che, colpito dalla bellezza di Isotta degli Atti, sviluppò una passione travolgente che lo portò a perdere la misura, una virtù che i medici ritenevano essenziale per mantenere il controllo su sé stessi.
La visio, cioè l’impressione visiva di una bellezza sublime poteva essere trasmessa attraverso lo sguardo e diffondersi come una malattia psicologica, il cui effetto risultava paragonabile a quello di una febbre. Il pensiero ossessivo che nasceva da questo incontro visivo si traduceva in un’immersione totale nel desiderio, facendo perdere all’individuo la capacità di razionalizzare e di mantenere il giusto equilibrio tra corpo e mente. Tra il Rinascimento e il Barocco, il mal d’amore si intrecciò con la malinconia , dando origine a teorie che le vedevano come due facce della stessa medaglia. Ad esempio, la teoria umorale, che perdurò fino al Settecento, sosteneva che il mal d’amore derivasse da un eccesso di bile nera, lo stesso umore responsabile della malinconia. In questo senso, entrambe le malattie guastavano le facoltà mentali e razionali, trasformando l’amore in un potenziale pericolo per la salute. Autori come l’umanista fiorentino Marsilio Ficino, che studiava la malinconia e il mal d’amore nei suoi trattati, e Robert Burton, con la sua celebre opera ‘Anatomia della malinconia’, esploravano le possibili cause e cure per questi disturbi. Le storie letterarie erano spesso il riflesso di queste teorie: il caso del mercante di Arles, che impazzì per una statua, oppure la figura di Orlando, che impazzisce per l’amore non corrisposto di Angelica, sono esempi emblematici di come l’amore potesse condurre alla follia. Anche nel ‘Don Chisciotte’ di Miguel Cervantes, il protagonista Alonso impazzisce per un amore non ricambiato, vivendo un’esistenza fatta di gesta cavalleresche dedicate alla donna dei suoi pensieri.
Il mal d’amore e la disparità di genere: tra privilegio maschile e controllo femminile
Nel Medioevo il mal d’amore non era una sofferenza per tutti. La medicina dell’epoca lo considerava una malattia “nobile”, riservata agli uomini di alto rango, eroi della passione tormentata. La letteratura dell’epoca li celebrava come spiriti malinconici e geniali, vittime di un amore che, se non controllato, poteva trasformarsi in una follia selvaggia e brutale. Le donne, invece, venivano escluse da questa narrazione: il loro corpo, considerato freddo e umido secondo la medicina antica, non era predisposto a una malattia passionale. Inoltre, le norme sociali e il pudore imponevano alle donne il silenzio su qualsiasi tormento amoroso. Solo a partire dal XVI secolo iniziarono a comparire nei testi medici, ma con una lettura molto diversa da quella maschile: “Secondo alcuni medici, come Jacques Ferrand, le donne erano più predisposte al mal d’amore per costituzione fisica e morale, ma la spiegazione scientifica si basava su un vecchio giudizio ippocratico: il problema era l’utero – spiega Annagiulia Gramenzi – Considerato un organo divagante e causa di innumerevoli malattie, l’utero femminile divenne il punto focale della medicina sessuale dell’epoca. Nel 1772, a Bologna, si accese addirittura una disputa sul fatto che le donne pensassero con l’utero. In quell’occasione, Giacomo Casanova intervenne affermando che la loro presunta inferiorità fosse dovuta più alla loro educazione e allo status sociale che all’anatomia”. Tuttavia, le teorie misogine continuarono a proliferare: Ferrand descriveva sintomi nelle donne che ricalcavano quelli di un attacco isterico, fino a identificare il furore uterino, una forma di delirio malinconico di cui potevano soffrire zitelle, vedove e donne sposate. Le cure riflettevano questa discriminazione: se per gli uomini la cura poteva consistere in viaggi, musica e distrazioni di vario genere, per le donne si ricorreva spesso a trattamenti violenti e disumani. Se il matrimonio non risolveva la loro condizione, si ricorreva a salassi, oppio o persino allo stupro terapeutico. Questa pratica disumana , giustificata dalla medicina dell’epoca, venne perpetrata fino all’Ottocento, con donne rinchiuse nei manicomi in nome delle regole sociali della sessualità. Il mal d’amore divenne così uno strumento per disciplinare la società: mentre gli uomini malinconici venivano celebrati per la loro profondità intellettuale, le donne erano ridotte a soggetti irrazionali. La femminilizzazione della malattia d’amore contribuì a perpetuare l’idea di una debolezza intrinseca delle donne, utilizzata per giustificare la loro esclusione da ambiti come la scienza e la politica. Tuttavia, alcune donne trovarono in questa patologia una forma di resistenza. Questa poteva essere un mezzo per sottrarsi a matrimoni imposti o alla monacazione o per esprimere un dissenso altrimenti inascoltato. In un’epoca in cui le emozioni femminili erano rigidamente controllate, il mal d’amore rappresentò per molte un’inaspettata via di fuga.
Che fine ha fatto il mal d’amore?
Nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, il mal d’amore scomparve gradualmente dal vocabolario medico, sostituito da nuove classificazioni psiscopatologiche. La medicina si allontanò progressivamente da questa visione arcaica e la sofferenza amorosa entrò a far parte di una nuova concezione legata alla psicologia e alla psichiatria. Il concetto di isteria ha lasciato spazio a nuove etichette diagnostiche, ma il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero più emotive e fragili rispetto agli uomini è ancora diffuso. Il mal d’amore non è più considerato una malattia, ma le sue implicazioni culturali continuano a influenzare la società e il modo in cui la sofferenza emotiva viene percepita e trattata. Quando la passione si trasforma in ossessione e possesso, può sfociare in tragedia. I femminicidi ne sono la testimonianza più drammatica: uomini che, incapaci di accettare la fine di un amore, trasformano il dolore in violenza. Questo lato oscuro del mal d’amore, raccontato nei secoli come un tormento nobile e malinconico, trova un’anticipazione nella figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Celebrato come signore di Rimini, l’uomo venne scomunicato nel 1461 da Papa Pio II con accuse gravissime: stupri, violenze e l’ assassinio di due delle sue tre mogli: Ginevra D’Este e Polissena Sforza.