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La poliedricità di Mauro Liggi in ”Alla terra i miei occhi”: “Le parole vanno usate con molta cura e attenzione”.

Di Mattia Lasio
27/07/2024
in Cultura, Interviste, Libri
Tempo di lettura: 5 minuti
La poliedricità di Mauro Liggi in ”Alla terra i miei occhi”: “Le parole vanno usate con molta cura e attenzione”.

Chi guarda dentro di sé ha un coraggio che va al di là delle definizioni. Perché è un qualcosa di talmente profondo che sfugge alle catalogazioni e alle spiegazioni spicce. Un po’ come Mauro Liggi che oltre a essere poeta raffinato in libreria con la sua terza raccolta poetica ‘’Alla terra i miei occhi’’, uscita a marzo del 2024 per la casa editrice Interno Libri con l’elegante prefazione di Anna Segre, è anche fotografo e medico specializzato in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva. Mondi, questi, apparentemente distanti dall’arte poetica ma che nel caso del quarantaquattrenne autore cagliaritano si amalgamano perfettamente dando vita a un insieme ricco di sfaccettature che emergono appieno, con forza espressiva e chiarezza, nella sua nuova opera. Una silloge contenente 62 componimenti racchiusi in 84 pagine che lasciano il segno grazie a una scrittura delicata e al contempo risoluta, sobria così come inebriante. La poesia di Liggi profuma di piccole cose che è importante non dare mai per scontate, i suoi versi sono schietti e frutto di un attento labor limae, dai tratti immaginifici ma anche estremamente concreti. Le parole adoperate sono accuratamente selezionate e spiccano parti come: “non tratterrò il superfluo per me. Il nostro sudario non ha tasche”. Non mancano anche riferimenti biblici a figure come Isacco e Abramo oppure a noti miti come quello di Sisifo, aspetti da cui risalta anche una notevole spiritualità nel suo modo di scrivere. Mauro Liggi scandaglia tormenti e insicurezze che riguardano tutti ma a cui, troppo spesso, si cerca di non dare ascolto, ricordandoci che grazie alla poesia è possibile vestirsi di luce e uscire dalle tombe delle nostre tristezze. Il suo modo di verseggiare affiora le proprie radici nel passato, riuscendo ugualmente a mantenere lo sguardo attento sul presente con un occhio rivolto al domani imminente. Dolcezza e nostalgia si alternano in poesie che sono un monito prezioso per orientarsi in questi tempi frenetici, sussurri dell’animo per ricordare che è possibile nuotare anche dove il mare non c’è perché il mare, proprio come la poesia, è dentro di noi. Basta solo ricordarselo anche nei momenti più complessi.

Mauro tu scrivi che “l’amore è una battaglia da cui si esce malamente vivi”. Vale sempre la pena battersi per l’amore o ci sono casi in cui, forse, sarebbe meglio farsi da parte?

Non bisogna assolutamente farsi da parte, la battaglia per preservare e valorizzare l’amore va giocata fino in fondo al massimo delle nostre capacità. L’amore è l’unico antidoto alla sofferenza, proprio per questo bisogna dare il meglio di sé per proteggerlo con la massima consapevolezza della sua importanza.

Tra i versi più significativi della tua nuova opera spicca: “la solitudine mi protegge”. Che rapporto hai con la solitudine?

La solitudine è fondamentale, è uno spazio che ricerco, uno spazio in cui muoversi liberamente per crescere e arrivare a una piena maturazione. Attenzione però: la solitudine va distinta dal solipsismo e dall’atto del rimuginare fine a se stesso che si rivela controproducente e dannoso.

Nella tua silloge citi ‘’Ragazzi di vita’’ di Pasolini: quanto è stato importante questo capolavoro della letteratura italiana per te?

È stato fondamentale per la mia formazione. La prima volta che lessi quest’opera simbolo di Pasolini ero in quarta liceo, grazie a un mio professore dell’epoca davvero illuminato e di grande sensibilità. Fui subito conquistato da Pasolini, pur essendo giovanissimo e non avendo chiaramente gli strumenti per comprenderlo appieno come ora. Ho riletto “Ragazzi di vita’’ più volte, anche di recente per lavorare a un reportage fotografico sul quartiere di Sant’Elia e mi è stato davvero utilissimo.

Nelle tue poesie ritornano spesso i concetti dei ricordi e dell’infanzia. Che rapporto hai con questi due elementi?

Ho un rapporto simbiotico, di ricordi mi nutro sin da bambino, ovvero dall’infanzia che è uno dei momenti più belli della vita oltre che irripetibile. Della sua importanza me ne sono accorto sin da quando ero piccolo e, a distanza di tanti anni, posso tranquillamente affermare di non essere mutato rispetto al bambino che ero: ho tutelato e conservato quella purezza e quello sguardo sul mondo che ti permette di non ergerti a giudice.

In più di un’occasione fai riferimento alla notte, intesa come viaggio catartico. Dopo averla attraversata, cosa resta?

Restano le cicatrici, alcune rimarginate e altre no ma comunque preziose in entrambi i casi. Tocca a tutti, prima o poi, attraversare la notte, non ci sono scorciatoie: è importante, mentre la si attraversa, ricordare che alla fine di questo viaggio c’è sempre una nuova alba che ci attende.

Un altro tema che affronti è quello delle prime volte. Ci sono alcune prime volte che cambieresti?

Assolutamente no, sono una persona molto istintiva e credo che ogni esperienza abbia il suo perché e la sua utilità. Alcune prime volte, di sicuro, le rivivrei e le ricordo con nostalgia. Le prime volte ci accompagnano costantemente, si verificano ogni giorno anche se spesso, presi dal caos della vita quotidiana, non ci accorgiamo di questo.

Tra le tematiche affrontate spicca il dolore che definisci suadente. Hai mai avuto paura del dolore?

Certamente, è inevitabile avere paura del dolore. Però, l’ho definito ugualmente suadente perché sa anche proteggerci. Il dolore è in grado di farti sentire vicino anche chi non c’è più, sa farci sentire meno soli nei momenti in cui ci sembra di non trovare più la direzione. Il dolore può essere qualcosa di nostalgicamente dolce e al contempo una trappola.

Un altro frammento delle tue poesie a risaltare è quello dove scrivi: “perditi in altre vite per onorare la tua”. Non trovi, però, che facendo così ci sia il rischio di dimenticarsi di sé e di ciò che si è realmente?

Credo che perdersi sia una condizione fondamentale che non si può evitare ma a cui, anzi, è importantissimo andare incontro. Perdersi è bello perché poi ci si ritrova cambiati e più consapevoli del proprio percorso di vita.

Fai riferimento anche a frasi crude e dure che non lasciano indifferenti. Ti è mai capitato di usarle o di trovarti in situazioni in cui ti venivano rivolte parole di acrimonia?

Sicuramente è capitato di usare le frasi crude e dure in alcune circostanze ma mai con cattiveria e meschinità. Allo stesso tempo mi è capitato di essermi sentito dire parole che mi hanno ferito ma che, comunque, non mi hanno scalfito e che sono sono riuscito a perdonare. Le parole sono troppo importanti per essere sprecate, vanno usate con molta cura e attenzione. Spesso ci si dimentica di ciò. 

La poliedricità è uno dei tratti caratterizzanti del tuo modo di essere. Che legame c’è tra il tuo essere poeta, medico e fotografo?

Lo sguardo con cui mi rivolgo alle persone che incontro giornalmente nel mio cammino in ciascuno di questi ambiti. In tutti e tre i casi lo sguardo con cui mi approccio deve essere attento e profondo, nulla deve essere preso sottogamba e tantomeno deve essere dato per scontato.

Hai in mente di esordire anche come romanziere?

Sì, assolutamente ma non se ne parlerà prima di due anni. Il mio primo romanzo dovrebbe basarsi sui diari di guerra di mio nonno materno. Non lo definirei comunque un romanzo storico, va al di là di questa definizione. Attualmente, comunque, è tutto in divenire e ci sto lavorando: voglio prendermi il mio tempo, studiare con attenzione in modo da fare qualcosa di valido e curato nei minimi dettagli.

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