Un anno fa era stata la biografia di Enrico Berlinguer a inaugurare la Festa del Cinema di Roma (Francesca Arcadu ne ha parlato qui); quest’anno, in apertura della ventesima edizione, l’onore è toccato a un film ispirato alle vicende del pastore Ovidio Marras, un nome certamente meno noto – anche tra alcuni dei giornalisti presenti all’anteprima – ma non a Riccardo Milani, che da molti anni è un frequentatore abituale della Sardegna: ha deciso di scrivere la sceneggiatura “La vita va così“, assieme a Michele Astori, quando ha saputo che il pastore era morto all’inizio del 2024.
Marras divenne un personaggio pubblico quando si rifiutò di vendere i suoi terreni alla società immobiliare che voleva realizzare un resort di lusso da oltre 140 mila metri cubi nei pressi delle coste di Malfatano e Tuerredda. Se molti decisero di cedere i propri terreni sia per il guadagno immediato, sia per la speranza che la nuova struttura potesse risollevare la disastrata economia del Sulcis, l’ultraottantenne Marras volle ostinatamente continuare a vivere a Capo Malfatano per praticare la pastorizia, come i sui avi prima di lui. Col suo terreno circondato da nuove costruzioni, perse anche l’uso della strada di servizio che gli permetteva di andare in paese e spostare il bestiame: presentò una denuncia e vincendo la causa fermò anche il resto delle attività edilizie, tuttora sospese.
Dalla cronaca alla finzione, da Ovidio Marras a Efisio Mulas

Nella finzione cinematografica, al pastore testardo con la quarta elementare ma impossibile da fregare è stato dato il nome impegnativo di Efisio Mulas: lo stesso del personaggio di Ugo Tognazzi nella commedia d’ambientazione sarda “Una questione d’onore” e, in anni più recenti, del finto attore sardo perennemente senza lavoro (impersonato da Claudio De Pasqualis) della trasmissione radiofonica di cinema Hollywood Party. La località alla quale è legato, invece, è diventata il paesino di Bellesamanna, uno di quei posti dove tutti si conoscono da sempre ma si sta spopolando per via della disoccupazione. Anche Efisio Mulas (interpretato dal pastore di 85 anni Giuseppe Ignazio Loi) ha un figlio che è dovuto emigrare nel Regno Unito, dove ha messo su famiglia; ha anche un’altra figlia, Francesca (Virginia Raffaele), che lo va a trovare e aiutare quando può, e una moglie che vive in un appartamento in paese, ma è disposto a passare giorni e notti completamente da solo pur di restare nel suo amato furriadroxu vicino alla spiaggia. La sua proprietà è solo un puntino rosso nella mappa del nuovo resort progettato dal gruppo immobiliare presieduto da Giacomo (Diego Abatantuono), che dal suo ufficio con vista panoramica su Milano viene convinto che quell’unico terreno non ancora acquistato di tutto il lotto sarà presto ceduto dal pastore che lo possiede. Scoprirà, come anche il suo fedele collaboratore inviato sul posto, il siciliano Mariano (Aldo Baglio), che ottenere l’approvazione del pastore è un’impresa quasi impossibile.
Milani, che di commedie se ne intende, per affrontare l’argomento ha scelto un registro che si rifà alla commedia all’italiana: si ride e allo stesso tempo si riflette sulla ricostruzione artistica di eventi reali, mettendo in evidenza pregi e difetti umani di chi in Sardegna ci vive e di chi invece ci entra in contatto – direttamente o indirettamente – con uno sguardo esterno e talvolta cieco di fronte alla realtà dell’isola. L’obiettivo, per un regista con una carriera di successo, è sempre arrivare al grande pubblico, anche raccontando una vicenda fortemente legata a un territorio ben definito: ecco perché ha affidato alla nota e apprezzata Virginia Raffaele il ruolo di coprotagonista, anche se l’attrice romana ha dovuto imparare da zero cadenza e termini sardi per calarsi nella parte. La scelta però è sensata, sia per le sue qualità recitative sia per il suo richiamo, e nulla toglie a un film in cui gli attori sardi non mancano (tra gli altri, Massimiliano Medda, Gabriele Cossu, Jacopo Cullin e l’immancabile Geppi Cucciari in un ruolo piccolo ma essenziale). Prima di mettere in discussione questa scelta di casting, vale la pena ricordare che un altro bel film ispirato agli stessi eventi, “Anna” di Marco Amenta, ha avuto poco successo nonostante potesse vantare la potente interpretazione della protagonista (sarda) Rose Aste.
Una vicenda che ha spaccato una comunità

La dedica finale a Gigi Riva, simbolo di coloro che scelgono di non vendersi al migliore offerente, denota una simpatia prevalente di Milani per la caparbia battaglia di Efisio Mulas cui anche il pubblico non può che affezionarsi, ma si deve riscontare anche l’onestà intellettuale di dare altrettanto spazio alle ragioni opposte; non tanto quelle degli speculatori forestieri (che tuttavia Abatantuono tratteggia come capaci di comprendere e apprezzare i valori morali altrui), quanto degli abitanti del Sulcis che hanno un bisogno disperato di lavorare e, pur essendo in schiacciante maggioranza, rischiano di perdere quella che considerano l’unica concreta opportunità di benessere per colpa della rigidità di un singolo anziano col potere di mandare all’aria il progetto immobiliare. Forse quello di Efisio Mulas è un atteggiamento egoista se si ragiona in termini di impieghi mancati, ma è altruista se si considera, invece, che sta lottando anche per salvaguardare un paesaggio che deve continuare ad appartenere a tutti, e in particolare a chi ci è nato.
“La vita va così” avrebbe potuto trarre beneficio da una durata inferiore: nel corso di due ore, ci sono alcune ripetizioni di troppo dovute anche al fatto che il pastore ha reiterato invariabilmente i suoi rifiuti nel corso di molti anni. Si sente anche una certa pesantezza negli ultimi quindici minuti quando, per tirare le fila della storia, si esagera nel manifestare troppo esplicitamente le posizioni delle parti in causa con discorsi più adatti ai comizi che a un film. Allo stesso tempo, però, si mettono in evidenza dubbi e contraddizioni di un territorio senza avere l’arroganza di dare delle risposte: non spetta a un’opera cinematografica indicare ai sardi quale strada intraprendere per favorire il proprio sviluppo economico, ma sarebbe sbagliato non usare anche questo lavoro di finzione per ragionare sulla possibilità di trovare soluzioni che non passino sempre da interventi esterni, che spesso si accaparrano molto più di quanto offrono.