Non ci sono buone nuove dal fondo del mare, e il report 2022 del WWF lo dice chiaro e tondo: 229 mila tonnellate di rifiuti plastici vengono rilasciati ogni anno nel solo Mediterraneo. Dati che, a livello globale, non sono solo preoccupanti ma catastrofici, anche perché in ascesa: è sempre il WWF a sottolineare che da qui al 2050 il numero sarà quadruplicato.
E se già oggi il 90% degli uccelli marini è entrato in contatto con la plastica, e le microplastiche sono entrate a far parte della catena alimentare tanto da essere state trovate anche nel sangue umano, gli scienziati sono quasi unanimi nel considerare che a breve, nel mare, ci sarà più plastica che pesci.
Conferire la plastica usata nel contenitore per la differenziata è ovviamente solo una parziale soluzione. Molto parziale, se si tiene conto che l’effettiva percentuale di plastica riciclata si aggira intorno al 9% della plastica prodotta, mentre il resto viene bruciato producendo diossina, oppure stoccato nelle discariche, il cui spazio non è infinito, oppure disperso in ambiente.
E allora cosa si può fare?
Il punto di partenza per risolvere il problema della plastica è sempre lo stesso: produrne e consumarne meno. Ma cosa fare della plastica già prodotta e utilizzata?
Si è già parlato in queste pagine di chi sta tentando di trasformarla in carburante, ma intanto il modo forse più efficace per ridurla è quello della circolarità del rifiuto, cioè il riutilizzo dello stesso per un nuovo fine.
È quello che fa Massimo Marchiori, artista, designer e scultore veneziano, con la sua produzione, la Stari Ribar: sculture fatte con la plastica recuperata dalle spiagge. Un esercito di pescatori, barchette, sommergibili, personaggi famosi, animali, e – il suo grido di battaglia- i pesci lampada: tutti pensati, costruiti e rifiniti con la spazzatura trovata durante le pulizie del mare. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata attorno al suo progetto.
Quando è nato il tuo amore per il mare?
E’ sempre esistito: mio nonno faceva il pescatore, viene da un’isoletta della Croazia. Io ho ancora casa lì, mi piace tornarci, forse mi piacerebbe viverci.
E la tua passione per l’arte? Nasci artista?
Ho sempre bazzicato nel mondo dell’arte senza però farne un vero lavoro strutturato. Mi occupavo di tutt’altro: avevo una posizione di rilievo per un’azienda automobilistica. Lavoravo come un matto, dalla mattina alla sera, e avevo un buono stipendio, una bella casa, una moglie, due figli. Ero proprio come la società voleva che fossi. Poi però, un giorno, a trentatré anni, mi hanno diagnosticato un tumore. Niente di mortale, mi è andata bene. Ma quando il medico ha pronunciato la parola “tumore”, a me è crollato il mondo addosso. Dopo l’operazione mi sono accorto di una cosa: non ero felice. La vita mi aveva dato un’altra chance ed era il momento di prenderla al volo: ho rivoluzionato tutta la mia esistenza.
E’ stato quello il momento in cui hai deciso di dedicarti ai pesci di plastica riciclata?
Ancora no. Prima c’è stato un altro step, ma sempre seguendo la traiettoria ecologista. Avevo iniziato col fare delle sculture col cartone che trovavo in strada. Erano immagini a grandezza naturale, enormi, e volevano comunicare la precarietà dell’esistenza, vite usa e getta in un mondo frenetico. Ma ancora non ero soddisfatto: volevo aggiungere il lato ludico-educativo. Così ho iniziato a creare dei giocattoli, e sono andati alla grande, con una distribuzione in tutta Europa.
E poi?
E poi ero ingabbiato di nuovo. Sentivo che mi stavo avvicinando alla mia essenza ma senza esserci ancora arrivato. Non è facile diventare se stessi.
Lì è arrivato il mare. Giusto?
Esatto. Sono tornato alle origini, a mio nonno pescatore. E l’ho fatto lanciando chiaro e forte un messaggio di denuncia: il mare sta morendo, lo stiamo uccidendo noi. L’arte non è tale se non racconta, se non tramanda un messaggio. Io racconto delle storie, ogni opera una storia distinta, ma tutte parlano di me e del mondo, tutte sono un grido dall’Oceano soffocato.
Ti reputi un artista o un artigiano?
Nella storia, i grandi maestri dell’arte erano in realtà artigiani, trasformavano la materia. Il concetto artistico aggiunge il ramo della comunicazione. Pensa a Picasso e al cubismo, ad esempio. L’artista non solo trasforma la materia, ma lo fa col fine di inviare un messaggio. Per fare questo serve studio, esercizio, pratica, tempo. Invece oggi l’arte è qualcosa di improvvisato, non è più un linguaggio. Un esempio è la fotografia: prima per diventare un fotografo dovevi fare un percorso; oggi basta uno smartphone e tutti sono fotografi. Ci sono milioni di scatti dello stesso luogo, dello stesso paesaggio. Ma cosa comunicano? Io con le mie sculture torno a focalizzarmi sul messaggio. Mi piace pensare che tramite i miei pesci fatti con la plastica recuperata dalle spiagge l’arte si faccia racconto e il racconto si faccia arte. Non voglio comunicare solo il problema della plastica in mare, ma più in generale quello di uno stile di vita differente. La vita è troppo breve per cambiare il mondo, ma possiamo cambiare noi stessi. E quando racconto di me, io creo un cambiamento, in primis su me stesso, ma anche su chi ha voglia di starmi ad ascoltare per davvero. Per quello, anche sul mio sito, puoi trovare il mio percorso di vita, compreso il momento della malattia. Il problema è che non è così semplice ascoltare e osservare. Specie nell’epoca frenetica in cui viviamo. Sono certo che se adesso mettessi in mezzo ad una piazza una mia opera, su dieci persone che passano e che magari si fermano a guardarla, la stragrande maggioranza non si accorgerebbe che è fatta con quella che comunemente consideriamo spazzatura. E sai perché? Perché si è persa la pazienza di osservare.
L’arte è democratica?
La vita è democratica. La vita è la cosa più democratica che ci sia: nasci, vivi, muori. Non importa come vivi, se sei povero e disperato o se sei ricco e felice: comunque muori. E se dovesse esserci un Creatore mi piacerebbe complimentarmi con lui per questo. Ecco, io credo che anche l’arte dovrebbe essere democratica, proprio perché abbiamo detto che l’arte è un linguaggio e il vero cambiamento si ha quando la comunicazione arriva a più persone possibili. Per questo i prezzi delle mie opere sono accessibili ai più.
E come vanno gli affari in questo periodo?
Dal punto di vista delle vendite, male. Siamo in un momento di crisi economica, e sappiamo che l’arte è sempre una delle prime cose a saltare. Però vedo che si sta diffondendo sempre di più, invece, il pensiero che c’è sotto, cioè l’attenzione vero l’ambiente e la consapevolezza che è necessaria uno stile di vita differente. Possiamo farcela.