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La leggenda mondiale della batteria e il suo amore per la Sardegna. A tu per tu con Mike Terrana: “Questo posto è un paradiso, adoro la sua gente”

Di Gianfranca Orunesu
24/05/2025
in Arte, Interviste
Tempo di lettura: 8 minuti
La leggenda mondiale della batteria e il suo amore per la Sardegna. A tu per tu con Mike Terrana: “Questo posto è un paradiso, adoro la sua gente”

Foto di Antonio Falchi

È di Buffalo (NY) ma a lui piace definirsi semplicemente earthling, terrestre. È una leggenda della batteria ma, all’età di 65 anni, dice che sta ancora imparando. Chi per via delle sue scorribande social dove suona in modalità playthrough sopra i più disparati brani, chi per via della sua formidabile carriera, tantissimi conoscono Mike Terrana. Che ha deciso di trasferirsi qui in Sardegna, dove recentemente ha creato un power trio (i Triad!) con musicisti del calibro di Francesco Piu e Gavino Riva. Il nostro è un fiume in piena, non si sottrae alle domande e da questa intervista scaturisce uno spaccato umano e professionale di chi ha consacrato la propria vita all’amore per la musica.

Quando e come ti sei innamorato delle bacchette?

Ho iniziato a suonare la batteria all’età di 8 anni. Non so davvero perché fossi interessato né cosa mi abbia attratto, ma penso di aver capito che si trattasse di qualcosa che per me era facile e naturale. Ho iniziato suonando dischi e canzoni che trasmettevano in radio: era divertente allora e lo è ancora adesso, quindi continuo a farlo.

Puoi parlarci del tuo percorso musicale e di come sei arrivato nel podio dei batteristi più riconosciuti e stimati al mondo?

È una storia piuttosto lunga e sono successe un sacco di cose pazzesche da quando avevo 16 anni fino agli attuali 65. Ho suonato in un sacco di band e bar, ho fatto un sacco di tour e dischi. Sono capitate tante cose incredibili da raccontare in questa intervista (ride, ndr). In realtà ho trovato qualcuno che mi aiuti a scrivere un libro sulle mie esperienze. Per me la musica è sempre stata la priorità numero uno, l’ho seguita e quando lo fai finisci per vivere in molti posti diversi: ho vissuto in molte zone degli Stati Uniti e dell’Europa, e ho anche avuto l’opportunità di vedere il mondo gratuitamente. Molte persone pensano che essere un professionista della musica sia tutto divertimento e gioco, ma in realtà c’è un duro lavoro dietro: quando ero più giovane mi esercitavo sei ore al giorno senza sosta per potermi esibire e guadagnarmi da vivere. È un’attività molto competitiva, ci sono tanti grandi musicisti nel mondo e bisogna lottare per stare sotto i riflettori.

È molto toccante la tua risposta “Dal pianeta terra” quando ti chiedono da dove vieni. Questo si riflette anche nel tuo modo di approcciarti alla musica perché non hai barriere né confini: come ti destreggi nei diversi generi e nelle differenti culture musicali?

Sono un terrestre! Sì, è vero: come ho detto prima, ho avuto il lusso di suonare in tutto il mondo, di sperimentare culture diverse, di incontrare un sacco di persone fantastiche e di poter apprezzare tutti i diversi stili musicali. Se suono sempre lo stesso genere mi annoio, quindi è sempre un piacere provare qualcosa di stilisticamente diverso da quello per cui sono conosciuto. È divertente. Non suono tutti gli stili come dovrei, ma faccio del mio meglio e apprendo molto anche alla mia età: sto ancora imparando a suonare la batteria e a migliorare.

Hai suonato con molti gruppi, tra cui i campioni del power metal tedesco Gamma Ray e Rage. Ma hai anche lavorato con maestri della chitarra come Yngwie Malmsteen e Axel Rudi Pell. C’è qualche progetto che ti ha segnato di più?

Sì, ho avuto l’opportunità di suonare con molti musicisti diversi, e probabilmente per me l’esperienza più memorabile e piacevole dal punto di vista musicale è stata la collaborazione con Tony McAlpine. Abbiamo lavorato insieme per 10 anni e abbiamo fatto molti tour. È stato impegnativo ma divertente per via del nostro amore per la musica. Non si tratta sempre e solo di guadagnarsi da vivere. È stato anche un grande piacere collaborare con Steve Lukather che ha suonato la chitarra in due canzoni del mio primo disco da solista, ‘Shadows of the Past’. È un musicista meraviglioso, un cantante fantastico e una persona straordinaria. È anche molto divertente, abile raccontatore di barzellette. È davvero un piacere frequentarlo.

Sei noto per la tua tecnica di alto livello e la grande energia che trasmetti al pubblico. Che routine segui per mantenerti in forma ed esibirti in modo impeccabile?

Beh, grazie per le parole gentili. Ci provo. Suono la batteria circa sei ore al giorno, mi piace esercitarmi e, come ho detto prima, sto ancora imparando: è questo il bello di impegnarsi in uno strumento, non finisce mai, si può sempre migliorare ed è stimolante. In realtà penso che alcune persone si mettono nei guai perché non hanno una passione nella loro vita. Io sono così impegnato a imparare a suonare la batteria che non ho tempo per inguaiarmi (ride, ndr). Quello che faccio è fondamentalmente un’attività fisica e bisogna essere in forma per poter riuscire bene, e soprattutto per farlo nel modo in cui mi piace. Quindi eseguo un sacco di esercizi a corpo libero, faccio un po’ di allenamento con i pesi e un tipo di cardio chiamato Tabata. Mi piace anche andare in bicicletta, è un ottimo modo per allenarsi a basso impatto, e ovviamente vivendo in Sardegna hai la possibilità di ammirare un sacco di cose belle e prendere un po’ di sole.

Quando io venivo al mondo, tu iniziavi la tua carriera da musicista professionista con gli Hanover Fist. Sono passati circa 40 anni: il modo di fare musica è cambiato?

Oddio, il business della musica è cambiato in modo esponenziale rispetto a quando ho iniziato io. La verità è che non esiste più un’industria musicale e ciò è dovuto al fatto che la gente può scaricare i brani da Internet. Ci sono ancora molte band in tournée ma è molto costoso, e ci sono anche molti gruppi in giro. La gente ha solo i soldi per andare a vedere le proprie band preferite. Credo che la chiave per sopravvivere in qualsiasi settore sia essere camaleontici, reinventarsi e cambiare in base a ciò che accade al momento. Io ci sono riuscito. Nel periodo del Covid sono cambiate tante cose e molti di noi sono stati costretti a reinventarsi e a trovare nuovi modi per sopravvivere durante la quarantena, e questa è la ragione per cui ho iniziato a dedicarmi ai social media. Penso che essere presenti nelle varie piattaforme sia molto importante perché è un ottimo modo per comunicare con il proprio pubblico di riferimento e raggiungere molte persone in modo rapido ed economico. Quando ho iniziato a lavorare nel settore, le band suonavano nei club e ottenevano un contratto discografico. Poi la casa discografica investiva denaro nella band per finanziare i tour, coprire i costi del processo di registrazione e quelli della promozione. Tutto questo è scomparso, per le band più piccole non esiste più. Inoltre, quando ero più giovane c’erano molti club in cui si potevano fare 5 o 6 serate a settimana e guadagnarsi da vivere. Oggigiorno molti locali hanno chiuso o ingaggiano solo tribute band, e questo perché il proprietario del locale ha bisogno di portare gente e vendere drink. È la realtà dell’economia di base. Sono finiti i tempi in cui le case discografiche investivano in un gruppo per alcuni anni in modo da valutare se riuscivano a farlo decollare e a crearne un progetto di successo. Sono un po’ triste per questo, ma al momento le cose stanno così e oggi se sei un giovane musicista devi preoccuparti di essere un ingegnere del suono, un videografo, un fotografo, un social media manager, un manager personale, la tua casa discografica, un agente di booking e un roadie: è un sacco di lavoro da gestire ed è rischioso.

Sei anche un insegnante molto apprezzato e stimato. Quali consigli daresti a chi vorrebbe avvicinarsi alla batteria?

Non mi considero un insegnante, sono un suonatore, e quando ero giovane volevo essere una rockstar, un artista. Negli Stati Uniti abbiamo un’espressione: “Quelli che sanno, fanno. Quelli che non sanno, insegnano”. Non fraintendermi, non sto sminuendo l’educazione musicale, ma molte cose che si imparano in una scuola di musica non hanno niente a che fare con quello che accade in un tour rock ‘n’ roll. Sono due mondi diversi. Credo che mi abbia aiutato a resistere il fatto di avere molto senso pratico e astuzia quando si trattava di navigare tra gli alti e bassi nel mondo della musica. Comunque il consiglio che darei a un giovane batterista è prendere lezioni private, esercitarsi e non guardare troppo dall’altra parte; concentrarsi su sé stesso e migliorare, non preoccuparsi di competere con nessuno ma cercare di sviluppare il proprio stile. Perché quando sviluppi il tuo stile diventi unico, diventi un’entità e la gente cerca proprio questo quando deve assumere dei musicisti. Oggi tutti si osservano a vicenda sui social media, e il risultato è che lo stile di ognuno diventa omologato: copiano tutti. Ricordo che quando vivevo a Los Angeles decisi di prendere una casa in affitto per potermi esercitare da solo, senza che nessuno potesse sentirmi e vedermi. Realizzavo un sacco di cose nella privacy della mia saletta e poi, quando erano pronte, le mostravo al mondo o al pubblico per cui suonavo. Penso che all’inizio sia bene emulare i propri eroi, ma a un certo punto bisogna fermarsi e sviluppare il proprio modo di suonare, il proprio stile e la propria musicalità. È questo che ti distinguerà dagli altri.

Come è nata l’idea di trasferirti in Sardegna? Puoi raccontarci del progetto ‘I won’t stop the music’?

All’epoca vivevo in Toscana a Forte dei Marmi. È arrivato il Covid e sono stato invitato ad esibirmi qui in Sardegna, dove mi sono fatto degli amici che mi hanno suggerito di provare a restare. Mi sono fermato qua per un po’ e ho esplorato la zona: mi piace molto la gente e penso che la Sardegna sia un paradiso, un posto meraviglioso in cui vivere, così ho deciso di trasferirmi nell’isola e ho iniziato a lavorare con alcune persone che hanno sviluppato il progetto ‘I won’t stop the music’. Fondamentalmente è iniziato perché, come musicisti, eravamo tutti fuori dai giochi per via della pandemia e non potevamo lavorare, così ho deciso di pubblicare video sui social media e continuare a fare musica. E ringrazio Dio perché mi ha mantenuto lucido, occupato, ed è stato divertente.

Visto che ora vivi in una terra dove il ritmo è sempre presente, hai avuto modo di conoscere la tradizione percussiva della Sardegna? Penso ai Tumbarinos de Gavoi, ai tamburi della Faradda di li Candareri a Sassari, a quelli della Sartiglia oristanese.

Sì, quando ho visitato alcuni paesi ho avuto modo di suonare strumenti artigianali, come i tamburi. È stato molto bello. Qui avete degli artisti davvero bravi che fanno grande musica, e per me è motivo di grande interesse sentire tutte queste influenze nelle composizioni dei Tazenda, ad esempio. Mi piace anche il Tenore di Bitti che, ho sentito, ha collaborato con Peter Gabriel. Davvero molto bello.

A proposito di Tazenda. In molti qui da noi ti hanno visto suonare un loro pezzo, ‘Spunta la luna dal monte’. Per alcuni è stata una sorpresa, per molti altri una conferma del tuo amore smisurato per la musica e della tua grande curiosità. Ti piace la lingua sarda?

Li ho visti dal vivo a Oristano con un mio amico, ho assistito a tutto il set e mi è piaciuta tantissimo la loro musica. Penso che la lingua sarda sia molto melodica e, a tal proposito, è stato bello vedere che la gente del pubblico conosceva tutte le parole e cantava insieme alla band. C’era una bella atmosfera. Una volta tornato a casa, ispirato dal loro concerto, ho deciso di dare un’occhiata al loro repertorio. Ascoltando alcune canzoni ho subito pensato che sarebbe stato divertente suonarci sopra, in omaggio alla band. I ragazzi li ho incontarti durante lo spettacolo, sono persone molto simpatiche, oltre che dei musicisti di grande talento.

Chiudiamo con una novità che ti riguarda e che ti vede all’opera con Francesco Piu e Gavino Riva. Sarà sicuramente un piacere per quanti amano i power trio. Quanto ti piace l’idea di suonare con due professionisti sardi come Francesco e Gavino?

Sì, ho conosciuto Francesco grazie a un mio amico qui che è un suo fan. Un giorno eravamo fuori a bere qualche birra e gli ho chiesto: “Ehi, conosci qualche bravo chitarrista? Mi piacerebbe fare un po’ di blues rock”. Mi ha suggerito Francesco che, con Gavino, dà vita a un duo dinamico. Amo suonare con loro perché possiamo fare delle jam in assoluta libertà. Siamo adulti che adorano questa musica degli anni ’60 e ’70, andiamo molto d’accordo e ci divertiamo parecchio quando ci esercitiamo. Quindi assolutamente sì, mi piace molto lavorare con Francesco e Gavino, e non vedo l’ora di fare altri concerti insieme a loro in futuro.

(La foto è di Antonio Falchi)

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