Cosa si nasconde dietro il business della bellezza? Nulla di losco o criminale, sia chiaro, ma certamente la fotografia di un’epoca in cui l’ossessione per l’immagine ha raggiunto i massimi storici. L’esercito composto da chi è beauty center dipendente cresce esponenzialmente di anno in anno abbracciando fasce di popolazione sempre più ampie.
Sara Patrone, laureata in filosofia e studentessa di antropologia, ha raccontato in un bel libro uscito per Meltemi, con la prefazione di Vera Gheno, la realtà multiforme dei templi del nuovo millennio: i centri estetici. “Il malinteso della bellezza, per un’antropologia del corpo” raccoglie la sua esperienza diretta come “operatrice della bellezza” e quella di alcune colleghe e clienti. Il velo di riserbo cade e dietro manicure perfette, massaggi dreno-rassodanti, trattamenti antiage e unghie all’ultimo grido appare sconsolata la verità: mania di controllo, ansia per il tempo che fugge, terrore di non essere accettate.
Un argomento scivoloso e rischioso quello dell’estetica, affrontato dalla Patrone con grande, seppure apparente, leggerezza. Armate per piacere le donne, ma anche tanti uomini, si distinguono per la disponibilità economica e la scelta dei servizi richiesti ma non nella sostanza del fine ultimo, dichiarato a gran voce, di fare tutto questo sacrificio per “sentirsi bene con se stesse”.

Sara, è veramente così o questo “sentirsi bene” è frutto di condizionamento del marketing?
Quando ho lavorato da estetista avevo io per prima forti condizionamenti di marketing. Come un effetto placebo, aver speso dei soldi ti convince dei risultati. Uno dei rituali più usuali è quando i clienti si vedono in foto per il prima e dopo trattamento. Senza commento dell’operatrice non ci sarebbe lo stesso impatto, c’è una sorta di condizionamento del pensiero. Gli esiti positivi non sarebbe cosi palesi senza il commento esperto dell’estetista. Il parere è di notevole importanza per ottenere quel “sentirsi bene”.
Una dichiarazione di guerra a quelli che il nostro tempo considera inestetismi. Perché la bellezza ad ogni costo?
Lo è! La lotta al brutto del corpo è delle case cosmetiche, dei beauty center. Anche i termini usati sono adatti a una battaglia, ad esempio “alleato”. Pensiamo di avere il controllo totale sul corpo, combattiamo ciò che non ci piace. Una sorta di superomismo. Il corpo non è noi ma un qualcosa che possiamo trasformare con esercizi di potere. Il corpo è una delle tante cose che possediamo.
E chi invece rifiuta questo obbligo sociale?
Ti racconto un recentissimo aneddoto avvenuto durante una presentazione. Una signora sugli 80 anni mi prende da parte e mi dice di non sentirsi minimamente raccontata nel mio libro, lei si teneva la sua faccia al naturale e i suoi capelli bianchi. Ma io la guardavo e non si era poi così smarcata dal mio discorso: comunque esercitava delle forme di contenimento, era molto curata nell’abbigliamento, unghie perfette, capelli tagliati di fresco. Tutto questo per dirti che chi non vuole entrare in questo sistema di regole o lo fa veramente o se lo racconta e basta. Poi certo i media ti massacrano se violi queste regole. Pensa a Vanessa Incontrada, a Elly Schlein, ad Angela Merkel, persone che pagano a caro prezzo il loro rifiutare di rispondere alle regole di un gioco che mortifica le donne.
Belli anche nella morte, non è vero?
Questa è la parte di libro che mi ha costretto a esercitare meglio il mio ruolo di antropologa. Ho dovuto intervistare persone sconosciute su un argomento che mi affascina tantissimo: la morte. Un discorso complesso che si relaziona col tema corpo visto che ne cerchiamo di rallentare gli effetti causati dal tempo. Moriamo di tante morti, il nostro corpo vive di morti continue. Parti del nostro corpo si deteriorano, altre si riattivano…pensiamo alla pelle. Conviviamo con la morte ogni giorno. Ci siamo creati un format della morte per sopravvivere, relegandola a un unico episodio: il funerale. E pretendiamo di essere belli al nostro funerale. “Noi restituiamo un po’ di vita ai morti” mi hanno detto le tanatoestete con cui ho parlato. Cerchiamo illusoriamente di controllare la natura con trattamenti estetici che allontanino l’idea della morte stessa.

È interessante il concetto che hai espresso di un corpo visto e pensato in pezzi, mai nella sua interezza.
Verissimo. Non è del tutto il tipo di mestiere che lo richiede ma è anche un po’così. Ci si specializza in alcune parti, un po’ per via delle esigenze dei clienti e anche per questioni economiche. Il corpo è lottizzato. Parte tutto da come lo pensiamo questo corpo. E anche lì guida la consuetudine: certi abbinamenti sono obbligatori e i clienti accettano questo pensiero. Un corpo suddiviso culturalmente. Nessuno ci chiede abbinamenti strani e se capita diventano aneddoti da corridoio. Una volta un signore molto anziano chiese un’epilazione laser anale. Noi rimanemmo a bocca aperta.
Arriveremo mai a capire che la bellezza è frutto di elementi variabili e che dunque non può essere unica e definita?
Lo auspico con tutta me stessa. Noto con piacere e speranza che mi sembra che ci siano persone coraggiose che affermano bellezze originali, non riconducibili a cose già viste in massa. Il testo “Beauty Mania” di Renee Engeln mi ha indotto a sperare. Possiamo lavorare il nostro corpo come espressione artistica e non perché altrimenti qualcuno ci giudicherà. Il sistema ha ammalato le donne dicendo loro che la bellezza è il requisito minimo per stare in società e fare carriera. Io ad esempio mi sono auto analizzata e ho più cura di me ma solo in termini creativi. Auguro questa libertà a ogni persona.
Con il contributo fotografico di Diletta Nicosia e Danny Frau










