“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”, sosteneva Federico Garcia Lorca, e in Nino Landis ne ha trovato uno appassionato e sincero. Arte appresa negli anni della fanciullezza, la sua, nella solitudine delle campagne di Laconi e nel silenzio dei pascoli, dove ha imparato ad orientarsi seguendo gli astri e i venti, e dove ha incontrato la musa che non lo ha mai abbandonato. Da allora ha trovato ispirazione per liriche semplici e immediate, pensate nel tempo di un battito di ciglia, ma capaci di cogliere il lato umano di ogni avvenimento e sviscerare il carattere delle persone e del luoghi che ha incontrato nel suo lungo cammino, senza rinunciare all’ironia e al gusto per la burla, ma con la sensibilità e la delicatezza che contraddistinguono gli uomini liberi. Oggi parte di quei versi sono stati raccolti nel libro ‘ In punta de billetto’ edito dalla Domus de Janas.
Nino Landis è nato a Laconi nel 1943, ed è cresciuto nella fame e nel bisogno del dopoguerra. La prima scuola di vita è stata quella dei nonni, in un’epoca dove si cresceva in fretta, si nasceva e si moriva in casa e sin da piccoli si facevano i conti con la vita solitaria del servo pastore e si acquisiva un primo schema di visione del mondo. L’educazione del salto la chiama Nino Landis, quella del mondo agro-pastorale, dove si conosce la solitudine, si sperimenta il bisogno reale, s’impara a parlare con la natura e orientarsi seguendo le stelle delle notti chiare e i venti in quelle più buie. Questo è stato l’habitat dove il poeta laconese ha incontrato la poesia, quella che egli stesso definisce “de cussolgia”, legata ai pascoli del Sarcidano, che in quei silenzi è stata la culla, “su brassolu”, che ha addolcito la sua adolescenza, il Parnaso di un bambino nato con un dono da coltivare.
Da allora la musa poetica non l’ha abbondonato mai più e i versi hanno accompagnato Nino Landis nel suo peregrinare per il mondo, dalla Spagna franchista, all’Africa e all’Asia, fino a San Sperate, che dal 1967 è diventato il suo paese adottivo, svolgendo la professione di massaio, cuoco e operaio e spalancando il cuore alla poesia dell’altrove, Gracia Lorca su tutti, in una società che virava verso l’industrializzazione e il consumismo e un mondo nuovo dove non si ha bisogno di nulla ma si compra tutto, che ci ha trasformati, sottolinea il poeta, citando Cicitu Masala, “da mangiatori di pane a pagatori di bollette”.
Le poesie di ‘In punta de billetto’ rappresentano a pieno il lungo peregrinare di Nino Landis, che già nel titolo indica quel modo di comunicare in versi scritti attraverso dei biglietti di botta e risposta, rigorosamente in rima, in un’epoca che non conosceva gli sms, le chat o Whatsapp. Piccoli testi spontanei, immediati che assieme formano un affresco di umanità dove emergono colori, suoni e sapori, come nei muri di San Sperate, luogo incantevole che assieme a Pinuccio Sciola e ad altri illuminati, ha contribuito a trasformare in Paese Museo, e con la compagnia teatrale La Maschera e l’associazione Antas Teatro, in un florido presidio della parola recitata, ancora oggi fucina di artisti e di iniziative culturali di alto livello.
Le liriche di Nino Landis sono cronache della quotidianità che colgono il lato umano di ogni avvenimento. Raccontano i luoghi: Orosei, Cagliari, Laconi o Meana; le persone e gli amici di una vita, da Anselmo Spiga a Pinuccio Sciola, da Nino Nonnis a Paola Bertolucci e Paolo Pillonca e le sue due altre grandi passioni, la vigna e la caccia. All’arte venatoria l’autore dedica una lunga serie di spassose poesie, dove emerge tutta la vena goliardica che contraddistingue una fetta importante della sua produzione letteraria; terrore di amici e conoscenti che avevano paura di “essere canzonati” dal buon Nino. Lui divertito è solito rispondere: “ma figurati, non mi permetterei mai”, quando in realtà, aggiunge beffardamente “manca soltanto il francobollo”, sottolineando il fatto che i versi siano già stati partoriti con estrema velocità e pronti per essere spediti alla “vittima” di turno. Il valore della corrispondenza in rima si desume pienamente nell’ultima parte del volume dedicata allo scambio epistolare con il cugino Tonino Sarais, dove spiccano il legame con il paese natale, quei vincoli che non si spezzano e quelle memorie che non si dimenticano, talvolta distesamente, talvolta nell’attimo di uno scatto fotografico: “Iscusa ci no funti nodias, cun versos longos peri lì peri là, Fai contu d’esse arriciu fotografias, de cussas lestras, de cussas tì tà”.
Ecco, ogni poesia, sonetto o mutu di Nino Landis sono singoli fotogrammi di una vita, un diario di diapositive che raccontano il passato, vivono il presente e anelano al futuro, immortali come i luoghi e le persone che raccontano, ristoro dei cuori tristi, come il suo cannonau.
Ninnu Landis bingiatteri e cassadore
arrici is nostos agurius prus mannus
ci cantis ancora po atrus cent’annus
cun versos alligrus e binu soveltidore.
In bonora.
Sa redatzione.
Le fotografie sono state gentilmente concesse da Dietrich Steinmetz