“Emozione popolare”. È con questa acuta espressione che i contemporanei chiamarono la rivolta dei cagliaritani del 28 aprile 1794. Le parole non sono mai pronunciate o scritte a caso, hanno sempre un significato, anche se a volte inconscio. E queste due parole usate assieme raccontano molto. Dicono, ad esempio, che le rivolte, le rivoluzioni, così come altri eventi pubblici, hanno un’origine nelle emozioni condivise, che col tempo maturano fino a diventare sentimenti collettivi. Emozioni e sentimenti magari causati da altri eventi (nel caso specifico, dalla lotta per respingere il tentativo di invasione francese) che poi fungono da leva per l’azione. E anche la recente indignazione contro il deposito unico delle scorie nucleari ha origine in un sentimento: l’indignazione.
Lo si era visto già ai tempi del referendum consultivo del 2011, lo si è visto lunedì alla notizia della pubblicazione della mappa con le zone idonee (qui la notizia su Nemesis Magazine) per il deposito. In una manciata di ore le bacheche social sono state invase da prese di posizioni nette. Nessuna organizzazione alle spalle, nessun allerta: appena è uscita la notizia quasi tutti, e quasi nello stesso momento, hanno sentito la necessità di esternare la loro emozione. Un inconscio collettivo che si è manifestato con sincronicità in tutta la sua forza.
Questo perché il deposito unico è percepito dai sardi come un’onta irricevibile, esiziale per il morale collettivo e il futuro dell’Isola.

Eppure di smacchi la Sardegna ne ha presi tanti e ripetuti, anche recenti.
Senza scomodare le sempiterne basi e servitù militari, pensiamo alle industrie pesanti e al loro lascito di inquinamento. Pensiamo alla distruzione del paesaggio operata da decine e decine di pale eoliche, sorte a macchia di leopardo che soffiano milioni verso le grandi aziende ma lasciano sul territorio solo briciole e brutture. Pensiamo alla metanizzazione con sessanta anni di ritardo, che rischia di sventrare interi territori e impone di fatto — e di nuovo — alla nostra regione un modello di sviluppo vetusto, che favorisce interessi economici e geopolitici che con la Sardegna poco o nulla hanno a che fare. Pensiamo, ancora, ai continui tentativi di far colare centinaia di metri cubi di cemento sulle nostre coste, che oggi sono conosciute e apprezzate a livello planetario, e domani chissà; e questo perché non si ha il coraggio di abbandonare un modello di sviluppo nato nel dopoguerra.
Di esempi se ne potrebbero fare tantissimi, e ognuno potrebbe scegliere quello che gli sta più a cuore.
Eppure, nessuno ha mai scatenato un’emozione popolare pari a quella suscitata dalle scorie. Neppure l’ultradecennale battaglia contro le basi militari (in cui un ruolo fondamentale lo hanno avuto proprio comitati e organizzazioni animati da attivisti impegnati nel no nuke) mobilita così tanto i sardi come il deposito unico. Neppure la recente, evidente, inadeguatezza organizzativa e politica nella lotta contro il Covid, e quindi la salvaguardia diretta della vita di ognuno, scatena l’indignazione che ha causato l’ipotesi — peraltro remota, perché di questo al momento si tratta — del deposito della Sogin, la società di Stato dello smantellamento degli impianti e della gestione dei rifiuti nucleari.
Perché? Questa domanda difficilmente può ricevere una risposta univoca.
Sicuramente ci spinge a interrogarci sullo stato dell’opinione pubblica in Sardegna, e quindi sul ruolo del giornalismo. Sui sindacati e sul loro mutamento da organizzazioni volte alla tutela dei lavoratori a stakeholders in progetti di ampia portata. Sui partiti politici, percepiti sempre più come comitati elettorali piuttosto che come propulsori di valori e visioni comuni: manipolatori di significati e di simboli piuttosto creatori di simboli dietro cui marciare uniti.

In ogni caso e nonostante i grotteschi tentativi di strumentalizzazione, la recente emozione popolare fa ben sperare: come ogni mobilitazione può risvegliare le coscienze e incanalare la discussione verso il grande assente di questi decenni, il dibattito su quale modello di sviluppo vogliamo intraprendere per diventare attori protagonisti del nostro futuro invece di continuare a essere spettatori passivi.
L’ultima volta che avvenne probabilmente fu nel 1969 quando donne, pastori e contadini di Orgosolo a mani nude ma con tanto coraggio riuscirono a sconfiggere l’Esercito italiano, continuando ancora oggi a emozionare un popolo intero.

(nella foto in evidenza, Giuseppe Sciuti, Ingresso a Sassari di G.M. Angioy)
Ovviamente sono un convinto antinucleare. Rifletto però su una responsabilità oggettiva dello smaltimento delle scorie prodotte dalla medicina, di cui anche noi usufriamo. Di certo la Sardegna paga un prezzo altissimo con le maestranze militari. Bene la levata di scudi contro il nucleare. Sono davvero preoccupato per i 900 milioni di euro che dovrebbero arrivare. Da troppo tempo siamo stati abituati all’assistenzialismo questo è un male difficile da estirpare. La chiudo dicendo che, il danaro fa tornare la vista ai ciechi.
Sulla responsabilità oggettiva riguardo alla medicina nucleare nessuna obiezione, la domanda è: perché sempre qui?