Apocalisse contemporanea tra echi della storia recente e anticipazioni di futuro: “Cenere” di Stefano Fortin, con Valentino Mannias, Sylvia De Fanti, Giampiero Judica, Francesco La Mantia, Alessandro Riceci, Giulia Weber, Valerio Vigliar e Cristiano De Fabritiis, per la regia di Giorgina Pi – in prima nazionale venerdì 21 giugno e in replica sabato 22 giugno nella Sala d’Armi dell’Arsenale di Venezia per La Biennale / Teatro racconta il dramma della solitudine. Un prologo con epigrafe lucreziana e l’evocazione di una pioggia costante di minuscole particelle, una polvere impalpabile come nell’eruzione dell’Eyjafjöll e tre quadri: “No”, che esprime il rifiuto di un figlio, il suo isolarsi dalla famiglia e dal mondo; “Qui”, surreale rappresentazione della scena di un crimine e “Tutto”, un monologo, forse una confessione o un’analisi dei fatti prima dell’inevitabile epilogo. “Cenere” (“Ash”) è un viaggio nei labirinti della mente, indaga l’inquietudine e la paura, lo sconforto e l’indignazione di una generazione perduta, amareggiata, privata delle speranza e dei sogni: un’opera enigmatica e complessa, in cui ogni episodio appare come una storia a sé, ma i differenti punti di vista convergono fino a costituire un unico affresco di varia e dolente umanità.
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Una mise en scène minimalista, con una serie di microfoni e uno schermo che riverbera le parole del testo, tradotto in inglese, insieme alle note a margine di un (in)interrotto flusso di coscienza, dove la voce dell’autore si alterna a quelle dei personaggi, con un effetto di straniamento rispetto al gioco della finzione. “Cenere” parla del male di vivere e dell’ineluttabilità della fine, nella sua forma più scandalosa, intessendo una rete di sottili corrispondenze tra la figura di Pier Paolo Pasolini, raffinato intellettuale, scrittore, cineasta e poeta, con la sua tragica morte e la vicenda di un giovane uomo in rivolta contro le aspettative e le consuetudini, incapace di accettare e subire i colpi del destino e lucidamente consapevole dell’approssimarsi della catastrofe. Nel rumore di fondo affiora la questione della diversità, di una ricerca della propria identità, con una visione apparentemente conflittuale e irrisolta dell’omosessualità, all’interno di una profonda crisi esistenziale e generazionale, che si traduce nella certezza di non essere compresi.
“Cenere” è un magma di pensieri, ricordi, sensazioni e emozioni in cui i diversi personaggi (il Padre e la Madre e i Poliziotti) discutono su argomenti teoricamente inoffensivi come la routine domestica o la procedura professionale, o nel caso dell’ipotetico io narrante, con Valentino Mannias nel duplice ruolo di Autore / Vittima, si immergono in reminiscenze personali, disquisizioni letterarie o teatrali e considerazioni sulla realtà. Giorgina Pi elabora una intrigante mise en espace, dove attori e attrici si muovono, si spostano da un microfono all’altro, ridisegnano le geometrie mentali e fisiche, indossano e si tolgono una “maschera”, tra i chiaroscuri, le silhouettes e i primi piani disegnati dalle luci di Andrea Gallo e le suggestioni delle musiche di Valerio Vigliar e del progetto sonoro firmato Collettivo Angelo Mai. “Cenere” – produzione de La Biennale di Venezia e Bluemotion in collaborazione con Angelo Mai – mescola realtà e finzione per narrare, attraverso una molteplicità di voci nel buio della notte dell’anima, una moderna tragedia tra incomunicabilità e autodistruzione e mostrare infine, come in uno specchio, la nuda e crudele verità.
(In foto Cenere di Stefano Fortin e Giorgina Pi – Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù)