Ci sono libri che sono in grado di insinuarsi e trovare spazi considerati irraggiungibili. Ci sono parole in grado di innescare e disinnescare meccanismi remoti e riattivare sentimenti opposti e contrastanti che definiscono inequivocabilmente la vita, e, a volte, la morte, sia essa fisica che spirituale.
“Il dolore del mondo, la bellezza in ogni cosa”, edito da LuoghInteriori, è un libro molto speciale. Dietro lo pseudonimo Medūlla si cela il musicista sardo Michele Salis Figus, che ha riempito di significati inaspettati le pagine di questa pubblicazione che è tanto contemporanea quanto antica. Vi albergano infatti stimoli fortissimi, come la memoria, la paura, l’amore. Attività così divinamente umane fanno capolino nel lavoro che ha visto la luce nel marzo di quest’anno, luci e ombre della vita si rincorrono da un capoverso all’altro.
Michele Salis Figus ha una prosa colta che però si lascia leggere con piacevole facilità perché frutto di riflessione, studi e meditazione, non di mero sfoggio intellettuale. Ma soprattutto si fa leggere perché l’analisi dello spettro dell’animo umano è esposta con la delicatezza di una fiaba, e l’incanto che ne deriva, sia pure, talvolta, doloroso, è tanto.
È un viaggio nel mondo: attraversa città, stagioni dell’esistenza e descrive incontri, dialoghi e soliloqui con il solo fine di ammonirci sulla nostra naturale fragilità, sulla fugacità del bene e del male, in definitiva su noi stessi. Sospetto che tanto di questo libro sia frutto di un’esperienza diretta e personale, ma non necessito di conferme in merito, per affermare che, in un modo o nell’altro, in una storia o nell’altra, possiamo ritrovarci tutti e tutte. Non c‘è una trama univoca, non ci sono protagonisti e antagonisti, ma solo il vivere che si manifesta in episodi distanti nel tempo e nello spazio per raccontare la sua verità e oscillare davanti ai nostri occhi uno specchio. Ognuno ci leggerà qualcosa di sé se si è mai fatto le domande giuste o se il destino gliele ha poste davanti.
Rapporti che si incastrano e altri che non sono possono intersecarsi sono espressi con una cura estrema del dettaglio psicologico, frutto evidente di grande riflessione sui temi che muovono il mondo. Anche le descrizioni di città, ambienti, cibi, diventano veicolo per trasportare emozioni vere e pregnanti e non banale inquadramento narrativo per garantire caratterizzazione e colore alle storie e ai personaggi. Ecco, in queste pagine non ci sono personaggi ma persone, un’umanità varia, ferita dagli eventi e dalla natura imperfetta che è il nostro comune denominatore. Ma emergono anche amicizia, purezza, amore, gratitudine, forza, e tanti altri aspetti che restituiscono la pienezza dell’esperienza terrena.
Così scopriamo che la consapevolezza è solo il primo passo per avviarci verso l’indagine di noi stessi e, potremmo essere sorpresi da ciò che troveremo sul nostro cammino o osservandoci come mai prima. Rubando le parole Pina Bausch, straordinaria danzatrice e coreografa, citata in questo libro, capiamo che nella frase “Danzate, danzate, o tutto è perduto”, il monito di morte si accompagna, inesorabilmente a un invito a godere di ogni attimo che ci è concesso.