La sfida per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e adattarsi a sopravvivere è il tema caldo di questi tempi, in parte acceso dal conflitto in Ucraina, dalla “guerra alimentare” e del gas. Di questo, con uno sguardo rivolto al futuro e partendo dal buon cibo, si parla il 30 e 31 luglio a Siddi al festival Appetitosamente.
Tra gli interventi più attesi nelle due giornate organizzate dal Comune di Siddi, con dibattiti, degustazioni, laboratori, arte e musica c’è quello di Luca Mercalli. Il 31 luglio il climatologo e divulgatore scientifico partecipa in video conferenza all’incontro dal titolo Due esperti tra i primi: riflessioni sul cibo, sul futuro, sulla vita. Dialogano con lui, dal borgo di seicento abitanti nel Sud Sardegna, la presidente del comitato tecnico scientifico della Fondazione Ampioraggio Flavia Marzano e l’esperto di cibo Corrado Casula.
“Possiamo dire che per fare una buona vita ci vuole un buon clima – ci ha detto Mercalli in una chiacchierata telefonica prima del suo arrivo nell’Isola – Bisogna salvaguardare il nostro clima perché è la base della vita. Dal clima dipende l’acqua. L’acqua è vita, ma se non piove, siamo in un deserto. Dal clima dipende poi la produzione di cibo. Ogni clima del mondo permette di produrre un certo tipo di cibo. Se però questo clima cambia, diventa un difficile produrre ciò che producevamo prima senza problemi. Si riducono le quantità, si perde il raccolto. La relazione tra cibo e clima è duplice: il clima influenza la produzione di cibo, ma negli ultimi cento anni tutto è cambiato e anche la produzione di cibo influenza il clima con il consumo di energia fossile (trattori, fertilizzanti, pesticidi) e la produzione di gas serra”.
Le attività umane devono essere ecosostenibili. Ma quanto è possibile tendere ad un modello alternativo di economia, sintonizzandoci con l’ambiente? “In questo momento storico tutti, purtroppo, usiamo energia fossile, anche se abbiamo un’agricoltura locale, attenta ai prodotti del territorio – spiega Mercalli – Pure un’agricoltura biologica non è completamente esente dagli impatti ambientali, non appena usiamo un mezzo meccanico a gasolio. Oggi è difficile fare la filiera tutta sostenibile, ci dobbiamo provare, ma gli ostacoli sono ancora tantissimi. La Sardegna ha sole e vento. Far diventare un’azienda agricola autosufficiente in termini energetici sarebbe già un grandissimo risultato. Se il cibo viene consumato a livello locale è sostenibile, se però lo esportiamo e usiamo una nave, o peggio, un aereo, non lo è più. Se poi il cibo biologico è venduto ai gruppi d’acquisto, con una semplice cassetta di legno, è sostenibile, se lo vendiamo con gli imballaggi nella grande distribuzione no”.
Cibo, vita e futuro in micro comunità energetiche. Lei traccia uno scenario nel futuro dell’uomo: a causa delle altissime temperature, accadrà una “migrazione verticale” o ambientale verso le montagne. Noi sardi abbiamo le carte in regola per far fronte a questa esigenza di ritirarsi dalle città, ormai quasi invivibili? “La Sardegna ha la fortuna di non essere troppo popolata, ha poche grandi città e un vasto territorio ancora poco sfruttato, che offre la possibilità di vivere in modo più autosufficiente dal punto di vista energetico e ambientale. Oggi esiste il telelavoro e si può vivere decentrati rispetto alle città. Io stesso non interverrò all’incontro a Siddi di persona proprio per non inquinare. Non voglio prendere l’aereo. Vi parlerò dalle Alpi e lo farò attraverso un computer. Lo farò da un’altra situazione considerata fino a ieri marginale, in montagna, lontano da una grande città. Quanto all’altitudine, in Sardegna, pur non essendoci delle montagne, ci sono delle altitudini sufficienti a dare già molto sollievo al caldo che si avrà a livello del mare. La temperatura crescerà e anche abitare a 500, 700 metri di altitudine, potrà rappresentare un vantaggio rispetto zone dove farà ancora più caldo, più in basso”.
Ora ci sono le risorse del PNRR: la quota d’investimento per i progetti green è pari al 37% del totale di un pacchetto di investimenti e riforme che vale 191,5 miliardi di euro. Per la misura Rivoluzione verde e transizione ecologica ci sono quasi 60 miliardi (fonte Mite). C’è una sufficiente consapevolezza nei cittadini, negli operatori economici e nelle amministrazioni pubbliche sul fatto che non dobbiamo perdere questo treno? “Secondo me no. Credo che la maggior parte di questi denari verranno spesi per fare dei danni all’ambiente, più che per ripararlo. Perché soltanto una piccola parte del PNRR è dedicata ad attività almeno con l’etichetta verde e tutto il resto no. In ogni caso tutto il resto sarà rivolto ad attività che sono vecchie, che guardano al passato: grandi opere, cemento, asfalto, costruzioni. E anche le attività che hanno l’etichetta verde molto spesso sono verdi solo di facciata, possiamo definirle del “green washing” . Lo vedremo dopo, ma mi sembra che manchi un disegno organico sull’uso di questa grande massa di denaro, con una vera visione ecologica e sostenibile”.
Come rendere consapevole l’opinione pubblica che se non si contiene il riscaldamento globale le nostre vite perderanno in qualità? “È molto difficile. I dati che ci ricordano la gravità della situazione ci sono ormai da trent’anni. E sono andati in peggioramento. Ogni anno abbiamo la nostra dose di fenomeni estremi, di cui ci poi ci lamentiamo, ma dopo non capita mai niente. Questa è una grande domanda, se avessimo una soluzione la staremmo già usando. Certamente bisogna continuare ad informare. C’è ancora tanto spazio di lavoro che ancora non è stato fatto bene, ma anche nei Paesi dove si è fatto di più non siamo arrivati a dei risultati. Non c’è nessun primo della classe sui temi ambientali al mondo. Forse possiamo dire che la Scandinavia sia un po’ più avanti, ma comunque non ha risolto i temi ambientali al 100% e sono i migliori. Figuriamoci gli altri. Quindi io questa risposta, purtroppo, non ce l’ho”.
Nell’immagine in evidenza il climatologo Luca Mercalli