In qualunque lavoro è obbligatorio convincersene, ma tutti, in cuor nostro, almeno in un’occasione abbiamo silenziosamente aggiunto: “ma quando mai?”.
La customer satisfaction riveste ormai un ruolo importante in ogni professione, ma non sempre il modo d’interpretare il concetto conduce ai risultati sperati.
L’educazione, la cortesia, le buone maniere sono imprescindibili, e questo dovrebbe essere scontato in ogni ambito; ma annullare totalmente la propria capacità di giudizio, cedere ad ogni richiesta, rinnegare principi basilari su come va il mondo, non è di certo atteggiamento utile alla causa o compreso nel prezzo!
Nell’ambito della mia professione mi sono convinta che concedere la ragione al cliente per il solo possesso di quello status può rivelarsi un boomerang. Perché l’eccessiva compiacenza, in alcuni casi al limite del servilismo se si va a negare l’evidenza, spesso ingenera l’errata convinzione che alla prima presa di coscienza, al primo moto d’orgoglio che faccia accennare un timido “questo proprio NO!”, venga automaticamente scambiato per un disservizio, per una gravissima violazione di qualche codice etico, insomma, per inefficienza.
Ipotizziamo la perenne ragione del cliente nei più svariati comparti lavorativi: un assicuratore si vedrebbe costretto a riconoscere ogni singola richiesta di risarcimento, un ingegnere sarebbe chiamato ogni giorno a sfidare le leggi della fisica, un dietologo probabilmente dovrebbe creare un esercito di persone sottopeso, i baristi hanno già il loro bel daffare a comporre il caffè perfetto tra mix improbabili di giusti quantitativi di latte, caffè, schiuma e temperature variegate di tazze e loro composizione; e i consulenti finanziari? Ovviamente una virata in negativo delle borse non sarebbe una congiuntura sfavorevole del mercato, ma una sua negligenza nel non aver adeguatamente sfruttato le sue doti da Nostradamus ricevute assieme al rilascio dell’abilitazione.
A parlare da sole, e a confutare l’esagerazione dell’assunto, ci sono poi le recensioni, o a volte dei veri e propri reclami, in ambito alberghiero, che hanno del paradossale riguardo le pretese dei clienti.
I vari motori di ricerca come Skyscanner, Trivago, Booking, ecc. hanno negli anni reso note le lamentele più stravaganti presentate dai clienti che, evidentemente, risultavano fortemente convinti del motto sulla propria ragione.
Memorabili reclami, riguardo, ad esempio, una gravidanza indesiderata attribuita da una coppia al fatto che l’hotel avesse fatto trovare un letto matrimoniale in luogo dei due letti singoli richiesti all’atto della prenotazione; o ancora come (non) dare torto alla coppia matura che al rientro dalla vacanza presenta formale reclamo all’agenzia viaggi per non aver potuto usare il bagno della propria camera considerato sotto sequestro dalla polizia? Premio per la fantasia a chi ha potuto appurare che il nastro segnalatore della scena incriminata altro non fosse che il sigillo apposto a garanzia dell’igienizzazione.
Ho stentato a credere sull’effettiva buona fede di alcuni clienti che hanno avuto l’ardire di criticare un hotel a cinque stelle (bellissimo, con tanto di reportage fotografico da loro stessi pubblicate) per il fatto che i prodotti da bagno avessero l’aroma ai frutti di bosco ai quali gli stessi risultavano allergici.
E come biasimare il cliente che avendo prenotato a 80 chilometri dalla costa non ha trovato la camera con vista mare richiesta?
A sostegno della tesi un altro luogo comune ci può venire in aiuto: la verità sta sempre nel mezzo.