“Rest in Peace Queen Elizabeth II. Send her victorious”. All’indomani della morte della regina d’Inghilterra scomparsa giovedì 8 settembre a 96 anni, John Lydon ha lasciato queste parole di cordoglio sul suo sito web. Pace fatta dunque tra Elisabetta e il frontman dei Sex Pistols, che 45 anni fa firmava uno degli inni più celebri e feroci contro la regina e l’intera monarchia inglese.

Era il 27 maggio 1977 quando la band, che aveva esordito due anni prima con live scatenati e rissosi nel Regno Unito, faceva uscire un brano che inizialmente si sarebbe dovuto intitolare “No Future” poi ribattezzato “God save the Queen”: un inno al contrario, in cui Lydon, cantante e leader del gruppo noto come Johnny Rotten, prendeva in prestito il vero inno inglese cambiandolo in “Dio salvi la regina e il regime fascista, lei non è un essere umano”.
Per avere un effetto ancora più dirompente, il furbo manager dei Pistols Malcom Mc Laren decise di far suonare la band a bordo di un battello, battezzato “Queen Elizabeth”, che avrebbe dovuto percorrere il Tamigi in direzione Westminster e Buckingham Palace due settimane dopo l’uscita del singolo, nei giorni in cui si celebrava il Giubileo dei 25 anni del regno. La polizia inglese non ci mise molto a fermare la performance e arrestare i musicisti con tutto il loro seguito, ma non vi furono conseguenze penali per nessuno.

Grande fu invece la fama del singolo, che scalò rapidamente le classifiche musicali inglesi. Il successo costò a Rotten e soci minacce, aggressioni, decine di date live cancellate, il bando dalla BBC e altre tv e la richiesta di censura da parte di alcuni parlamentari.
I Sex Pistols hanno avuto vita brevissima, Queen Elizabeth ha regnato altri 45 anni. Ma un brano come “Good save the Queen” ha accompagnato una generazione di giovani punk (e non solo) per decenni, colonna sonora di un malessere diffuso che vedeva, e vede ancora, nella monarchia inglese il simbolo di una società ingiusta, dove i privilegi di pochi si scontrano con il disagio di tanti.










