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I poeti improvvisatori e la gara logudorese. Un momento insostituibile delle feste sarde che dietro l’arte oratoria celava spesso aspre polemiche e rivalità

Di Maurizio Pretta
18/06/2022
in Arte, Comunicazione e società, Cultura, Musica e spettacolo
Tempo di lettura: 6 minuti
I poeti improvvisatori e la gara logudorese. Un momento insostituibile delle feste sarde che dietro l’arte oratoria celava spesso aspre polemiche e rivalità

La gara poetica è stata per decenni il momento più atteso delle feste delle popolazioni sarde. Molti improvvisatori isolani godettero di larga e meritata fama per le loro capacità canore ed espositive: “chi ses poeta, canta” – se sei poeta, canta – era l’imperativo categorico per misurarne il talento. Ma in un ambiente che, in un lasso di tempo relativamente breve era cresciuto notevolmente, portando l’improvvisazione dai ristretti spazi dell’ovile e dell’osteria alla piazza e financo ai teatri di Sassari e Cagliari, si sviluppò di pari passo un’accesa competitività che spesso sfociava in animose discussioni e scontri che andavano ben oltre la rivalità agonistica, creando malcontento e anche qualche problema di “ordine pubblico”.

Nonostante le origini molto antiche della poesia estemporanea sarda, le prime “gare” con svolgimento in pubblico, codificate da regole ben precise che contemplavano una giuria, premi in denaro e temi da affrontare durante l’improvvisazione, si ebbero soltanto alla fine dell’Ottocento. Tuttavia è solo con l’avvento dell’ultimo secolo del millennio che il fenomeno comincia a diffondersi in una parte consistente dell’isola che viene letteralmente rapita dalla nuova “moda” e le comunità rurali fanno a gara per accaparrarsi i migliori poeti della scena in occasione delle sagre paesane, uomini che al solo vederli – così ci racconta G.Satta in una cronaca del 1907 – rivelavano spesso “una testa pensosa d’ingegno” e avevano la capacità di solleticare il palato delle platee, che si facevano man mano più competenti ed esigenti, che contemplavano la maestria attraverso la quale le più disparate idee partorite rapidamente nella mente dei poeti, venivano trasformate ben presto in discorsi filati e logici. Il pubblico rimaneva stupito dall’abilità degli improvvisatori che sotto le teste coperte dalle berritas plasmavano in un baleno molteplici versi che alla fine rivelavano la loro anima e la loro verve, spingendole verso l’ascoltatore con “il soffio salutare del progresso che alita la vita moderna”.

D’altra parte però, la magia della poesia e la combattiva passione, non riusciva a nascondere un sottobosco di veleni che talvolta emergeva platealmente sui palchi e nelle piazze dei paesi sardi e allora alla gara poetica si poteva aggiungere l’elemento teatrale – secondo Stanis Manca, almeno fino ad allora, arte sconosciuta ai sardi, che poteva assumere talvolta i caratteri della farsa.

Le cronache dell’epoca raccontano di diversi episodi che accadevano nel corso delle gare poetiche. Alcuni strettamente legati al loro svolgimento, quando lo spirito agonistico si trasformava in lotta all’ultimo sangue e in altri dovuti ai rapporti non proprio idilliaci fra i poeti.

Uno dei più clamorosi fu quello che accadde a Bono nel maggio del 1906 in occasione dei festeggiamenti in onore di San Narciso. Capitò che nel palco del piccolo teatrino dove si doveva svolgere la gara si presentò il solo Sebastiano Moretti di Tresnuraghes con i colleghi Pirastru, Testoni, Farina e la figlia Maria che decisero di scioperare e di non partecipare alla gara in quanto non gradivano la presenza del Moretti. Il pubblico si spazientì e protestò vivacemente, non si ebbero incidenti soltanto per l’intervento dei carabinieri, ma il giorno dopo lo stesso comitato organizzatore insceno una clamorosa manifestazione di protesta che biasimava il comportamento dei poeti scioperanti, percorrendo le strade del paese in corteo con il grido “Abbasso la camorra e Viva Moretti”!

Un altro singolare episodio è quello successo a Villanova Monteleone nel 1907 – appena due anni dopo la nascita di Raimondo Piras che sarebbe diventato uno dei più grandi poeti sardi di tutti i tempi – per la festa di San Sebastiano. Qui alcuni poeti locali occuparono letteralmente il palco in segno di protesta, per non essere stati invitati a partecipare alla gara assieme agli ospiti forestieri Antonio Farina, la figlia Maria, Gavino Contini, Antonio Andrea Cucca. Sollecitati più volte dall’obriere maggiore a sgomberare il palco, si rifiutarono categoricamente sino all’intervento delle benemerita e alla fine si raggiunse un accordo e vennero ammessi alla gara, con il risultato di una competizione non all’altezza, che lasciò largamente insoddisfatto il pubblico.

La platea era un elemento fondamentale della gara, alla quale potevano assistere migliaia di persone in religioso silenzio. Ma talvolta era proprio il pubblico il destinatario della polemica di qualche poeta che mal tollerava i suoi mugugni o era entrato in contrasto con il comitato, la chiesa o la giuria. Se poi sul palco c’era Giuseppe Pirastru da Ozieri era abbastanza probabile che ciò accadesse. Pirastru era un poeta baldanzoso che lasciava poco spazio all’accomodamento e al compromesso e che sul palco “tirava fuori i coltelli” sia con i colleghi – sono rimaste famose le violente quartine al vetriolo che scambiava con i colleghi Contini e Cubeddu – che con l’uditorio, arrivando a rifiutarsi di cantare in polemica con il presidente del comitato di Cargeghe in quanto insoddisfatto dell’onorario stabilito per la sua esibizione:

Signor Sanna m’iscuset ca non poto

leare parte a custu disaviu

si a Cargeghe duas nottes pernoto

sun pro me duas nottes de isviu

Sos c’ana a su tribagliu nadu adiu

bi enzan, supra cussu non bi voto

ma pro me chi non basta bi lu giuro

gratazias e bonas festas li auguro.

Spesso, per i temi trattati, erano la chiesa e le autorità civili a intervenire sulle gare poetiche, sabotandole o censurandole – riuscendoci del tutto soltanto in epoca fascista – come accadde a Tresnuraghes per la festa di San Ciriaco del 1907, dove il prefetto di Cagliari, dietro pressioni di un assessore comunale, voleva proibire due serate dedicate alla poesia con il trio Moretti, Cucca, Meridda. Tornò sui propri passi dopo la reazione della popolazione pronta a non far calpestare i propri diritti e anche grazie all’intelligente opera di mediazione del brigadiere locale.

Ancora il Moretti fu protagonista di un’accesa gara negli anni successivi al primo conflitto mondiale. L’episodio accadde e Meana durante la festa di San Salvatore, quando la gara entrò troppo sul personale e Moretti venne attaccato dal poeta locale Giuseppe Pretta che nonostante il rapporto di amicizia che intercorreva fra i due, canzonò il poeta di Tresnuraghes per il fatto che andasse per le feste religiose a vendere immagini sacre e rosari per racimolare qualche soldo. La risposta dell’abile Moretti non fu da meno e ricordò al rivale il suo recente soggiorno in “domo petri” in seguito a due distinte condanne per aver preso parte alle bardane di Allai e Atzara di qualche anno prima:

Pretta s’es dadu a su ribellione, as tentu coro e m’as minettadu,

ma fit una bella letzione, chi pagu tempus su Re t’at dadu.

Ma si no as ancora iscramentadu,e ne cheres un’attera letzione,

no as’ancora iscramentadu Pretta, cheret narrer chi su logu ti profetta.

Il poeta locale, vilipeso davanti ai propri compaesani, non la prese benissimo e pare che arrivò a brandire la sedia sulla quale stava per colpire il Moretti. La situazione non degenerò per l’intervento di alcune persone presenti e la tumultuosa gara poté proseguire senza altri incidenti.

Tuttavia, il fatto più grave accadde nell’osteria della cantoniera di Molafa, lungo la ferrovia Sassari – Alghero, dopo una gara fra poeti dilettanti nell’aprile del 1950, che degenerò prima in rissa coltello alla mano e finì tragicamente a pistolettate in seguito a versi improvvisati poco graditi.

Un gesto estremo, certo, ma forse figlio di quelle “tinte sanguigne” della poesia sarda descritte da Stanis Manca nel 1909, le stesse alle quali attribuì la morte di Melchiorre Murenu e se volete, con qualche forzatura, possiamo estendere a quella di Paulicu Mossa di Bonorva. Tinte che sarebbero sbiadite con le nuove generazioni di poeti estemporanei ma che caratterizzarono quelle dei loro predecessori, un dark side tuttavia ancora poco esplorato ma che meriterebbe un serio approfondimento, che potrebbe raccontare molto su quei tempi dove il canto e i versi sottolineavano ogni avvenimento e ogni occasione di socializzazione, e dove, poesia e vita erano, nel bene e nel male, due elementi inscindibili.

Abbiamo conservato in parte i versi, grazie all’encomiabile mastodontico lavoro dell’editore ambulante Antonio Cuccu di San Vito che con la sua opera ha salvato dall’oblio una fetta importante di poesia estemporanea sarda. Forse è arrivato il momento di ricostruire attentamente anche il contesto storico e sociale, compresi i suoi aspetti meno edificanti, quasi sempre trascurati.

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