Dei Baustelle non si parla e scrive mai abbastanza poco. Dei Baustelle ormai non si può parlar mai male, pena scomuniche o maledizioni.
Dei Baustelle tutto questo è vero, per carità, ed io ne sono un testimone attivo vivente, perché se i loro festeggiano venticinque anni di carriera io ne festeggio almeno venti e qualche mese di ascolto puro ed incondizionato, e perché se dovessi pubblicare una classifica di quale band io abbia scritto di più in questa avventura nemesiana è proprio la band di Follonica Milanese a vincere a mani basse e indovinate, quindi, meritatamente.
Si, meritatamente, lo abbiamo capito.
Ma, in realtà, anche ogni meritatamente porta con sé una piccola faccia nascosta, un lato oscuro che spesso si vuole evitare di vedere, sentire, percepire o comunque, confessare agli altri, e di questo lato nemmeno i Baustelle sono immuni e quindi.
E quindi ecco, i Baustelle hanno raggiunto il loro limite, sono ormai fermi nonostante continuino a sfornare lavori puntuali come l’inflazione, le tasse e le altre cose così del quotidiano, ma ormai prevedibili, con il solito lessico di parole quasi lanciate a caso prese da un dizionario illustrato della contemporaneità, buona per la gen z o la x, o qualsiasi ci si voglia un po’ riconoscere anche solo per riprovare emozioni mai forse mai nemmeno vissute.
Insomma, nel nuovo album dei Baustelle troverete tutto ciò che avete voluto voluto, dai richiami ai Beatles, ai Queen, a Bowie, al lessico che, appunto, avreste sempre voluto associare alla vostra vita e non ne avete mai avuto la possibilità o forse qualche volta si, ai suoni di un ricordo mai vissuto, alle parole mai dette, forse perché non necessarie o mai pensate o.
Siamo arrivati al limite? E che faccio, Signora, lascio?
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