Cinque, massimo sette ore. Questo è il tempo in cui Laika, la cagnolina che il 3 novembre 1957, imbarcata sul razzo russo Sputnik 2, sopravvisse diventando suo malgrado il primo essere vivente a orbitare intorno alla terra.
Un sacrificio considerato inutile, a posteriori, dallo stesso Oleg Gazenko, responsabile della missione, che nel 1988 si disse rammaricato. Era una sfida: l’Unione sovietica, dopo il successo del primo lancio, doveva spingersi oltre per strappare agli Stati Uniti il primato dell’eccellenza in ambito aerospaziale. La vita di una cane è poca cosa di fronte all’orgoglio di una nazione intera.
Così la cagnolina, che aveva altri nomi e sicuramente altri progetti, perì forse per gli sbalzi di temperatura o per asfissia. In realtà fu l’insulsa vanità di piccoli uomini a pianificarne la morte, non c’era infatti alcuna possibilità che il razzo rientrasse e che la sua piccola abitante sopravvivesse. Ma il progresso esige dei sacrifici no?
Lo scopo era raggiunto: gli USA, umiliati, incrementarono i fondi per l’ingegneria e la ricerca in una disperata corsa al podio del vincitore. Politici, tecnici e matematici si diedero un gran da fare per colmare il divario con gli avversari di sempre.

L’opinione pubblica, invece, si divise, e le reazioni furono spesso aspre nei confronti degli scienziati che permisero che un essere vivente fosse condannato senza alcuna ragione se non quella di una banale dimostrazione di potere. Nonostante questo, ovviamente, le spedizioni spaziali con animali proseguirono con il medesimo risultato fallimentare fino al 20 agosto 1960, data che segnò il rientro a terra, in vita e in salute di Belka e Strelka, cagnoline imbarcate sullo Sputnik 5.
Il successo della missione non fermò le critiche sull’uso degli animali per scopi scientifici, o presunti tali, dando il via a un dibattito etico che ancora oggi ha grandissima rilevanza ed è capace di dividere l’umanità in due fazioni nettamente distinte.
La discussione, la polemica, e la smania verso un futuro che a ben guardare forse non ci meritiamo, hanno permesso che il nome di Laika non fosse dimenticato e che diventasse simbolo della vessazione dell’uomo sugli animali. Tanti progetti artistici la ricordano e la celebrano, dalla musica alla letteratura fino al cinema e addirittura a francobolli commemorativi. Chissà se scodinzolerebbe all’idea di tanta attenzione.
Certamente Laika e tutte le meno famose vittime dello stupido orgoglio dell’uomo hanno sognato una vita diversa senza avere alcuna possibilità di scelta, come sempre succede a chi non ha strumenti per difendersi o voce in capitolo.
Oggi abbiamo maggiori informazioni sulla psiche animale, come se non bastasse la dignità della vita stessa; abbiamo così tante scelte alimentari da poter escludere serenamente la carne e il pesce dalle nostre diete; abbiamo tessuti ipertecnologici a tenerci caldi in un mondo surriscaldato al posto delle pellicce. Oggi non abbiamo scuse per continuare a sfruttare gli animali eppure continuiamo a farlo in tanti modi.
Oggi non abbiamo scuse, o forse siamo ancora alla ricerca di un qualche primato, ancora ciechi e sordi davanti all’evidenza del nostro egoismo.