‘Non sopporto il capodanno’. Sarà che sono talmente abituato a stare fra gente festante che si ubriaca di vino, di vizi e di virtù, che per me, normalmente, il capodanno risulta una serata lavorativa come un’altra. Intendiamoci, questo non vuol dire che negli anni addietro sia rimasto immune a questa liturgia globale; un poco come fanno miscredenti, atei patentati, bestemmiatori e mangiapreti, che per ogni Natale tornano puntualmente da mamma.
Il mio primo Dj Set in assoluto cadde nella notte fra il vecchio e il nuovo millennio mentre aspettavamo Nostradamus, ‘La Fine di Gaia’ non giunse neppure nel 2012 e poi è arrivato questo ‘2020 speed ball’ che oltre a stordire l’intero pianeta, ha messo a riposo forzato anche il sottoscritto.
Ma consideriamo il lato positivo. Ci troviamo per la prima volta a non essere vittime della dolce tirannia del veglione, questo universale rito laico dove festeggiamo il tempo che se ne va e ci facciamo grosse e grasse aspettative per quello che dovrà venire. A questo giro non dobbiamo rispettare il classico rituale della sbornia collettiva, dell’orgia colossale, del vestirci in “maniera adeguata e conveniente” e fare l’alba, disciplinati e inquadrati in trenini maracaibici e macarene che hanno soppiantato nel tempo quadriglie e marce di Radetzky. Sarà come tornare indietro di parecchi lustri, quando nella Sardegna non ancora conquistata dal boom economico e dal consumismo, i ricchi premi e i cotillon erano prerogativa di poche famiglie benestanti e la gente si accontentava delle strenne e del dono del pane, mentre le ragazze si limitavano a interrogare il futuro negli astri e nei chicchi d’orzo, con buona pace di Frate Indovino e Paolo Fox.
Di contro, non scamperemo al patetico pamphlet di bilanci, esami di coscienza e buoni propositi, illudendoci scientemente, che nei pochi minuti che intercorrono fra un anno e l’altro qualcosa cambi veramente. Brinderemo alle nostre paure e ai nostri fallimenti in segno di buon auspicio, ma sostanzialmente alimenteremo ancora le ‘Nubi di ieri sul nostro domani odierno’, masochisti e oggi come oggi, orfani anche del “We can be Heroes, just for one day”. Perché alla fine di questo si tratta. La stessa enfasi di aspettativa per l’anno nuovo, la mettiamo solitamente anche in questa notte di San Silvestro, (che a me personalmente ricorda sempre il gatto) dove sogniamo un capodanno alla ‘Harry, ti presento Sally’ o in stile ‘Il Grande Gatsby‘ per trovarci poi quasi inevitabilmente a vivere feste da incubo, che il volo di Fantozzi alla quadriglia o l’albergo di Ted in ‘Four Rooms‘ in confronto ci sembrano serate memorabili.
Che volete che vi dica. Farò di necessità virtù e cercherò di festeggiare ugualmente in qualche misera, patetica maniera. Celluloide, note e inchiostro formano sempre una trinità seducente. Non andrò, sia chiaro, a mettermi in fila al Palazzo dei Suicidi ad ascoltare ‘New Year’s Prayer’ in attesa di buttarmi di sotto, tanto so già come andrebbe a finire. Troverò invece il discorso di fine anno di Natalino Balasso sempre molto più veritiero, interessante e meno retorico di quello del Presidente; potrò ascoltare ‘New Year’s Day’ con Michael Corleone, ripetendo che nulla cambierà mentre fuori infurierà la Rivoluzione; potrò bere un Maker’s Mark al Gold Room Bar, disquisendo con Lloyd sul significato di ‘Next Year’ dei Foo Fighters o in alternativa canterò a squarciagola ‘Let’s Work Together’ assieme al Tenente Dan per poi addormentarmi e sognare ballerine come Charlie Chaplin.
Inevitabili saranno pure gli auguri, certo. Considerando che, come si suole dire, l’augurio, alla pari del saluto, “poco vale e poco costa” mi accomodo a tavola con Gramsci e Nietzsche e ve lo rendo di buon grado e sinceramente. Che possiate vivere una rivolta interiore ad ogni aperitivo, che al posto di dedicarvi a muover la guerra contro il brutto, il vostro tempo sia impiegato a coltivare la bellezza e che veramente, in ogni istante della vostra esistenza, recuperiate lo splendore del vero e viviate una perenne Novelle Vague, senza perdere il senso della continuità della vita e dello spirito, in modo che ogni giorno sia realmente ‘The Last Good Day Of The Year.’ Tanto, alla fine della fiera, il tempo non si spezza e ancora meno possiamo ingabbiarlo, soprattutto in questi infausti tempi, dove appare più brutalmente chiaro che “nessuna garanzia è per nessuno” e che l’ignoranza urla mentre tacciono quelli che sanno. Per questo, a maggior ragione, “Buon anno ragazze e ragazzi. Buon anno”.