Abbiamo avuto modo di conoscere il poliedrico Adrià Mor in diverse occasioni. Per il suo contributo di traduttore di applicazioni web; per la sua trasmissione televisiva ‘Beni cun me’ in giro per la Sardegna faeddende in sardu e nelle altre minoranze linguistiche dell’isola; per il suo album ‘Lo somrís de la magrana’; per i singoli di due e tre anni fa ‘Su filu ispinadu’ e ‘Decoloniza·ti sarda’. Ora il cantautore catalano, attualmente in California dove lavora all’Università statale, sta per regalarci il suo nuovo album, anticipato dal singolo “Terras de abbundu” che abbiamo potuto ascoltare in occasione de Sa Die de sa Sardigna.
Adrià, prima di parlare del nuovo disco soffermiamoci sul titolo ‘De Sardenya a California’. Che combini nella West Coast?
Tre anni fa ho seguito un’opportunità lavorativa nell’Università di California Long Beach per un progetto molto eccitante circa la creazione di un centro di studi sulla traduzione, che è ciò di cui mi occupo professionalmente. Da allora vivo qui e il mio nuovo disco riflette questa mia condizione. Il titolo dell’album è contenuto in un verso della canzone Llua che canto in algherese insieme a Meritxell Gené. (“Llua, per camins de salicòrnia, de Sardenya a Califòrnia, de los Àngels a la Nurra”.)
Quanto c’è di simile tra queste due terre?
Di sicuro c’è il mare e in un certo senso anche il clima. In ogni caso le somiglianze finiscono qui. Il mare qui è un Oceano vastissimo, nulla a che fare con il nostro Mediterraneo. Tutto quello che ci piace della Sardegna qua si fatica a trovarlo, ma mi sono inserito nella comunità sardofona di Los Angels quindi non mancano le occasioni per incontrarci, parlare in sardo e andare al ristorante sardo dell’amico Vincenzo.
Abbiamo già avuto un assaggio della tua nuova musica grazie al singolo ‘Terras de Abbundu’. Ci vuoi parlare del brano, di come nasce e come si sviluppa?
Il pezzo è una cover di Woody Guthrie, Pastures of Plenty. Ma l’ho sentita per la prima volta in una versione live di Joan Baez. Mi ha affascinato da subito il tono mistico da lei assunto. È stata la mia porta di ingresso per tantissimi altri musicisti folk degli Stati uniti come Pete Seeger, Bob Dylan e infine Woody Guthrie, che ha scritto il pezzo nel ‘41, quando era sulla trentina, dopo aver letto il libro The Grapes of Wrath di John Steinbeck (Furore, nella traduzione italiana). Nel romanzo si denuncia il razzismo con cui venivano ricevuti i migranti dell’Oklahoma verso la California. Mi piaceva fare un confronto tra quella situazione e il dramma dei migranti di oggi, la complicità dei nostri governi e, in un certo senso, delle nostre società.
Il brano è plurilingue. Il video ha più luoghi ripresa. Vuoi parlarcene?
Sì. Da subito ho sentito la necessità di tradurre il pezzo in più lingue anche grazie all’aiuto di Matteo Leone, Davide Casu e Federico Marras Perantoni che cantano rispettivamente in tabarchino, algherese e turritano (Adrià Mor canta in sardo e gallurese, ndr). Per fare ciò sono stato aiutato anche da traduttori e attivisti linguistici come Francesc Ballone, Remigio Scopelliti, Alessandro Derrù e Riccardo Mura. Il video, prodotto da Roble Factory, è stato registrato tra Long Beach, il parco di Joshua Tree e la Sardegna ed è sottotitolato in basco, catalano, curdo, esperanto, gallese e, appunto, sardo.
Cos’altro ti ha colpito di Woody Guthrie?
Innanzitutto il suo impegno antirazzista e antifascista, come si evince dalla scritta ‘This machine kills fascists’ nella sua chitarra. Ma non solo. Man mano che mi interessavo a lui ho scoperto alcune incredibili coincidenze tra il suo e il mio percorso. Innanzitutto anche lui è andato a vivere in California ed ha persino fatto delle performance a Long Beach, dovo ora abito. Inoltre ha vissuto a Portland dove ho tenuto una conferenza su lingue e traduzione. Mentre preparavo questa conferenza ho scoperto che Pastures of Plenty l’aveva composta proprio in quella città. Come l’ho saputo ho preso bici e chitarra per recarmi nella casa dove ha vissuto e, sebbene gli attuali inquilini non sapessero chi fosse Woody Guthrie, ho avuto occasione di suonarla lì. Uno dei momenti più incredibili della mia carriera musicale.
E dell’album imminente? Vuoi dirci qualcosa?
Il disco contiene canzoni scritte quasi tutte in Sardegna e Catalogna ed è stato registrato ad Alghero nell’estate del 2023. Sono molto grato ai ragazzi della Roble che mi hanno messo nelle migliori condizioni per realizzare questo lavoro. Un grazie va anche alle cantanti Eleonora Peana ed Elisa Carta, a Dario Pinna con il suo violino, ad Antonio Leardi che ha suonato le tastiere, al batterista Oriol Casas, al Coro di Usini e a Graziano Montisci con le sue launeddas in ‘Sarda i trista’. Lo stile musicale del nuovo album è in continuità con il precedente, anche se in questo aggiungo elementi di rumba catalana e basi elettroniche.
Quando e come uscirà?
L’album sarà pubblicato online entro il mese prossimo su bandcamp, su peertube e sul mio sito. Non rientra nella mia politica l’utilizzo di altre piattaforme tecnocapitalistiche. È prevista anche una pubblicazione fisica, ma è ancora presto per parlarne.
Come vedi la presenza delle lingue minorizzate nella scena musicale?

Ti dico che quel faccio io non è migliore o peggiore di quanto fanno altri artisti che optano per le lingue egemoniche, ma è un impegno a cui tengo. Le lingue minorizzate, subalterne, non egemoniche, sono sottorappresentate. Ma ho fiducia nelle nostre comunità che sapranno apprezzare questi sforzi e dedicheranno un’attenzione speciale alla cultura scritta esclusivamente in queste lingue.
Chiudiamo con un viaggio a ritroso, de California a Sardenya. Cosa porteresti da quella terra in termini di cultura e di pratiche di emancipazione?
Dalla Calfornia porterei l’impegno e gli insegnamenti appresi dalle comunità indigene che da anni, in lotta per la sopravvivenza, mandano un grido di allarme a tutti noi. L’accademia californiana è conosciuta e rinomata per la diffusione delle tematiche decoloniali e io penso che le nostre società debbano applicare questi insegnamenti applicandoli al contesto. Come catalani e come sardi abbiamo il diritto di esistere con le nostre lingue e le nostre culture. Non ci rinunceremo.