La comfort zone è un qualcosa che prima o poi attrae tutte le persone, non ci si sfugge, è il guardare al futuro con gli occhi comodi del passato che definisce il presente e illude di poter poi rimanere così a vita, anzi, decadendo entropicamente e lentamente ma senza accorgersene.
Quanto di questo avviene sovente in ambito musicale, con band che continuano anche per anni a riproporre le stesse soluzioni mantenendosi stabili o addirittura a peggiorare irrimediabilmente, oppure a diventare mediocri perché magari è proprio quella spinta giovanile ad essersi esaurita e la stabilità diventa amica della banalità.
Oppure si spiazza, come anche questa volta la band dalle molteplici radici europee, che dopo l’EP del 2023 ‘Better Than Going Under’ – già qui su Nemesis Magazine – torna con un nuovo album dissonante ed apocalittico come onestamente non si aspettava ma che rafforza l’idea di sincerità perenne proprie del duo.
‘Asylum Lullabies’ si introduce con violenza quasi industrial con la prima traccia ‘Pagan Ways’, ossessiva, claustrofobia, dolorosa, dove è William a sussurrare nelle nostre orecchie mentre echi quasi a la Tool di Aenima continuano a martellarci incessantemente introducendoci poi a quello che sembra un pianto di un bambino dove è invece la sempre suadente ed ammaliante voce di Larissa, presente anche nella successiva, marziale, ‘Torture Rack’, ad ammaliarci ma con un sempre presente sottofondo di dolore.
Questo è un album che rimarrà sicuramente controverso nella storia dei LH, quasi inascoltabile a tratti, un concept in cui la sensazione di sentirsi intrappolati, la difficoltà ad andare avanti, la paura e lo sconcerto per quanto accade in questo periodo tragico, è palese, e anche per questo rimane un’opera sincera e profonda di come le emozioni possano trasformarsi in incubi e poi in suoni.
Non un album da cui estrarre singoli da dancefloor – no, non c’è una ‘Totally Tot’ qua, ma quanto già predetto da ‘The World is Getting Colder’ è ormai realtà – a meno che non voler remixare ‘My Love’ oppure ‘Waiting List’.
In definitiva un album molto breve – otto canzoni per trenta minuti – ma che sembra lunghissimo per come intrappola, ossessiona, inchioda e gela, un album quasi da subire, come per la conclusiva ‘Parrots’.
E forse proprio questi sono i motivi – come se ne servissero ancora – per apprezzare l’ossessivo e continuo contributo di questa band al genere Goth / Post Punk mantenendolo vivo e vegeto nella sua più radicale accezione.
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