Due anni fa, quando ho iniziato a scrivere per Nemesis Magazine ero poco più che una studentessa, con la curiosità e l’entusiasmo di chi si avvicina al mondo del giornalismo. Non sapevo ancora cosa volesse dire fare informazione: per me era una parola grande, quasi intimidatoria. Poi ho capito che, più di una definizione, il giornalismo è un esercizio continuo: di curiosità, ascolto e responsabilità. E Nemesis è stata la mia palestra.
In questi anni ho avuto la possibilità di raccontare storie che parlano di futuro, spesso attraverso le voci dei miei coetanei. Ho conosciuto ragazzi e ragazze che hanno trasformato idee in iniziative concrete: come Adesso Basta ODV, che si impegna a trasformare il dolore in azione, unendo i giovani in una lotta per la sicurezza stradale; o come Martina Delogu, che ha lanciato una raccolta fondi per costruire un campo da paintball nel suo paese, Villacidro, trasformando un sogno personale in un progetto collettivo. Mi sono dedicata con particolare attenzione anche alle iniziative portate avanti nelle scuole: progetti educativi, incontri e laboratori che mettevano al centro i valori del rispetto e dell’inclusione attraverso la cultura e la creatività. Forse perché, da giovane giornalista, ho sempre sentito il bisogno di raccontare il mondo partendo da chi, come me, sta ancora imparando a costruirlo.
Raccontando queste esperienze, ho scoperto anche la potenza della cultura: la sua capacità di dare voce a temi strettamente attuali, come la parità di genere o il burnout lavorativo, che spesso vengono trattati in modo sfuggente. Ho capito che un concerto, una mostra, un laboratorio teatrale o un progetto scolastico possono diventare spazi di confronto e consapevolezza, e che la cultura è uno strumento di libertà. Sono storie piccole solo in apparenza, ma dentro ci ho visto la stessa spinta che mi ha portato a scrivere: quella di fare qualcosa, di non restare fermi. Raccontare questi percorsi mi ha insegnato che il giornalismo non è soltanto cronaca o denuncia, ma anche un modo per dare luce a chi costruisce, crea, immagina. In un’epoca in cui spesso dominano la fretta , gli articoli acchiappa click e la polemica, raccontare il valore della lentezza, dell’impegno e del talento giovanile è stata la mia personale forma di resistenza.
Con Nemesis ho anche sperimentato linguaggi nuovi: i podcast, ad esempio, che mi hanno permesso di scoprire un altro modo di “scrivere” con la voce, mettendomi in gioco come non avevo mai fatto prima. Oltre a questo, ho potuto completare il mio percorso di formazione e diventare giornalista pubblicista. Un traguardo che porto con orgoglio, perché dietro ogni articolo e ogni intervista, c’è sempre stato qualcosa di più grande: la fiducia che le parole possano ancora contare.
Ora, però, Nemesis Magazine chiuderà i suoi aggiornamenti da oggi, anche se in fondo si spera solo temporaneamente. E mentre questo capitolo si conclude, non posso non pensare alla crisi che attraversa oggi il mondo dell’informazione. Non solo economica, ma anche etica: una crisi di fiducia, di tempo e di attenzione. Eppure continuo a credere che il giornalismo sia, prima di tutto, una questione morale. Un servizio verso gli altri, un modo per capire insieme ciò che succede intorno a noi e per non diventare indifferenti.
Forse è proprio questo, alla fine, il lascito più bello di Nemesis: avermi fatto capire che dietro ogni parola c’è un atto di fiducia. E anche se una redazione si chiude, il giornalismo che nasce dall’ascolto e dal desiderio di capire non smette mai di cercare casa.