di Valeria Martini
È una delle più belle parole che conosca.
Innanzi tutto perché la medesima iniziale, in ragione di percorsi miei, mi porta alla parola farfalla che, a sua volta, mi conduce al lemma moderno dell’anima, che possiamo ritenere essere ciò che di noi sa, che conserva la conoscenza del nostro proposito di vita. E poiché sa, vive nella calma attiva.
La questione del sapere è di massima importanza come tra poco cercherò di spiegare.
Farfalla e anima; anche gli antichi greci usavano la stessa parola, psiché (ψυχή in greco antico e sta a indicare anima-respiro).
La farfalla ha molto a che vedere con la fiducia, non solo perché sembra essere la controparte tangibile dell’anima che sa e quindi ha fiducia, e non tanto perché emerge da un bruco peloso e poi sarà bellissima, non credo abbia alcun ricordo del suo passato embrionale. Piuttosto, perché vive per qualche giorno, a volte solo per 24 ore, eppure riempie di bellezza il mondo e con un suo solo battito di ali può cambiare il destino dell’umanità, e mentre lo fa potendo cadere preda di qualcuno, continua il suo compito adornante. È affidata alla vita, per breve che sia. Ecco perché fiducia.
Il suo battito è come il respiro, il soffio vitale, come il termine greco psiché ci ricorda.
Affidarsi e fiducia.
Fiducia nasce dal latino fìdere, avere fede.
E così giungiamo alla fede.
Mi è sempre piaciuta la seguente definizione di fede che troviamo nella Bibbia, nel libro degli Ebrei, capitolo 11 versetto 1: … fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono.
Premessa:
questa fede non ha nulla a che fare con la fede religiosa, anzi ne è praticamente del tutto distante.
La fede religiosa è basata sul credere a dogmi, a ciò che non deve essere spiegato ma che si ritiene debba essere l’asse lungo il quale orientare la nostra vita in forme di obbedienza acritica ad autorità che si sono autoproclamate tali.
La fede della scrittura biblica, invece e paradossalmente, è il frutto di ciò che sappiamo, è certezza.
Sono tre i termini sui cui intendo soffermarmi: certezza, speranza, dimostrazione.
La certezza deriva da ciò che sappiamo; si tratta di una forma di conoscenza interiore. Avete presenti quelle volte in cui abbiamo la netta sensazione di sapere qualcosa oltre ogni ragionevole dubbio? E quella cosa non derivava nemmeno da un nostro patrimonio formale di conoscenze? Oppure quando da subito una persona appena conosciuta suscita in noi precise sensazioni che son chiare e certe? E poi, magari alla verifica dei fatti scopriamo che era proprio così. Bastava aspettare. Si tratta di cose che non sono ancora successe, ma dentro di noi abbiamo la speranza che avverranno, che si realizzeranno. Speranza come attesa, non come cieca creduloneria.
Nella parola speranza c’è la radice spes che la lega all’attesa, aspettare.
Anche qui guardiamo a questa parola in termini tutt’altro che dogmatici o teologali.
La speranza è attesa, e poiché deriva dalla certezza di ciò che sappiamo, è attesa sicura.
Cosa attendiamo?
La dimostrazione. Ecco il nostro terzo termine.
Attendiamo la dimostrazione di ciò che già sappiamo, la summenzionata verifica dei fatti.
Questo ci porta al tempo. L’attesa è saper stare nel tempo. Ne parlerò poco più sotto.
La fede si riferisce alla nostra conoscenza interiore, che non è spiegabile a nessuno. Per questo professare la propria fede, quindi sapere ciò che si sa e cosa ne consegue, dovrebbe essere un fatto del tutto personale. Professare la propria fede significa sapere le proprie cose della vita e in base a ciò vivere.
Non esiste dire a qualcuno fidati di me. Dovrebbe accettare acriticamente ciò che tu sai, che non gli sai spiegare e che per te è vero. L’unica cosa che può succedere nella verità è che io senta di potermi fidare di te. Quindi io so, ho fede, che posso avere fiducia in te.
Lo so dentro di me e non lo posso spiegare perché la forma della conoscenza interiore è scritta con codici personali ineguagliabili e non sovrapponibili, se non negli effetti esterni. Gli effetti sono che sia io che tu nella vita abbiamo sentito che potevamo fidarci di qualcuno o qualcosa, ma non possiamo trovare una sovrapposizione alla conoscenza interiore di ognuno. Questo fa parte del nostro segreto, della permanenza della vita nell’impermanenza del suo manifestarsi.
La fiducia/fede è una forma di credito, hai in anticipo la certezza di un futuro più o meno lontano.
Quindi se hai fiducia in qualcuno, gli stai riconoscendo il suo valore, quel credito che gli dai perché dentro di te sai che va bene.
La fede e la vista.
Mai la fede può essere cieca, la fede è visione limpida e conduce ad affidarsi, senza condizioni.
Affidarsi, dove la “a” non è privativa ma direzionale, significa andare verso la fede, mettere in moto la fede. Ogni movimento è inerente alla vita che è un continuo spostamento di elementi, di energie, di materia. In sostanza, quando hai fede, quando ti fidi, nella fiducia ti affidi, tu realizzi la vita, la verità su te stesso. Conosci e vai.
La fede e il tempo.
Inseparabili.
La fede ti fa stare nella qualità del tempo. Certezza di cose che non sono ancora successe. Ma che accadranno. Non c’è da avere dubbi, solo saper aspettare.
A proposito di certezza e quindi di ciò che sappiamo, ciò che conosciamo viene assieme alla fede, come ci ricorda il trattato Pistis Sophia, fede e conoscenza. Gesù porta i suoi discepoli a un certo livello di conoscenza perché tutti siano iniziati ai misteri della vita e come lui divengano dei salvatori.
Ma perché dovremmo salvarci?
Da cosa?
Dall’ignoranza e precisamente da quella su noi stessi.