Il luogo dei libri, il ripostiglio dei libri, dove riponiamo uno degli oggetti più belli che l’uomo potesse mai avere avuto il genio di inventare.
Che poi, il libro non è esattamente un oggetto, così come la farfalla non è propriamente un animale. Rimasi affascinata dall’Elogio della farfalla di Hermann Hesse in cui scrisse: “Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se alla vista delle farfalle non si prova una gioia, un frammento di fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano. E certo ve ne sono buoni motivi: la farfalla, infatti, è un qualcosa di particolare, non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima, più elevata, più festosa e insieme vitalmente importante essenza di un animale. È la forma festosa, nuziale, insieme creativa e caduca di quell’animale che prima era giacente crisalide e, ancor prima che crisalide, affamato bruco. La farfalla non vive per cibarsi e invecchiare, vive solamente per amare e concepire…”
Ora mettiamo la parola libro nell’elogio della farfalla e, facendo qualche aggiustamento, ecco l’elogio del libro:
“Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se alla vista dei libri non si prova una gioia, un frammento di fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano. E certo ve ne sono buoni motivi: il libro è, infatti, un qualcosa di particolare, non è un oggetto come gli altri, in fondo non è propriamente un oggetto ma solamente l’ultima, più elevata, più avvincente e insieme vitalmente importante essenza del pensiero umano. È la forma trasmessa, insieme creativa ed eterna di quel sottile contenuto che prima giaceva nella mente di qualcuno e ancor prima di ciò, era rarefatto pensiero alto, quasi impalpabile. Il libro non esiste per intrattenere e poi essere lasciato ad invecchiare, vive solamente per portare amore e libertà…”
Libro è il nome della parte più interna della corteccia di un albero che è composta da altri due strati più esterni: scorza e alburno. È quella risorsa dell’albero che si usava, sin dall’antichità, per ricavare i fogli su cui scrivere, una volta abbandonate le tavolette di argilla. Da qui anche il nome del supporto cartaceo ricavato dalla lavorazione del libro, il libro per l’appunto.
Si scriveva sul liber, il libro, termine che è divenuto quello con cui indichiamo l’oggetto di cui abbiamo appena cantato l’elogio.
Liber, dal latino, suggerisce per assonanza quello di libertà che deriva però da libertas, in effetti a sua volta derivata da liber, ed entrambe si poggiano sulla radice lib, che troviamo in molti termini come libare, libidine, ma liber indicava anche l’uomo libero, affrancato dalla schiavitù.
Da libro a libertà e a quelle cose della vita che sono legate alla dimensione del piacere, sessuale nella libido, e di appagamento del palato nel libare.
Sembra che il libro, se ci concediamo un gioco di immaginazione, possa rendere libero l’uomo, recare piacere e appagarlo.
E tutto nasce da una parte interna, la più interna della corteccia che l’albero ha per proteggersi dall’esterno. Il libro è la parte più morbida ma pur sempre elemento del confine, un confine che ha la scorza come massima durezza e una forma di polpa trasformabile in pergamena che è il libro.
È come se le parole, scritte sui fogli ricavati dal libro, avessero anch’esse, per estensione topografica, in quanto si trovano in un certo senso sulla corteccia interna, la funzione di mantenere il confine.
I libri, contenitori di pensieri tradotti in parola scritta, potremmo vederli come i paletti della staccionata-confine che delimita e protegge qualcosa di noi, infatti, se tutto questo lo portiamo all’interno, possiamo dire che il nostro confine interiore, quello in cui avviene il contatto con un’incredibile moltitudine di sensazioni, emozioni, pensieri, è il libro della nostra vita.
Sta a noi decidere cosa scrivere, a chi concedere di leggerlo, se fare un lavoro a quattro mani, se scriverlo maldestramente, incuranti, approssimativi, se perfino uscire fuori tema o se cercare il termine giusto, l’aggettivo perfetto, la melodia e il ritmo.
E potremmo scriverne più di uno, sviluppando la capacità di chiudere capitoli della nostra vita e anche storie che smettono di avere la necessità o il diritto di esistere.
Un libro dietro l’altro significa una vita ricca, in cui abbiamo concesso a noi stessi il lusso di una narrazione interna, varia, ampia, di respiro, che esiste perché siamo riusciti a non attaccarci alla solita situazione, con il medesimo canovaccio e con gli stessi attori.
Un libro via l’altro significa una biblioteca interna, che raccoglie la nostra vita in forma enciclopedica, ed è lì protetta grazie alla corteccia da cui tutto nacque e che ci ricorda di questa possibilità ogni volta che diciamo libro.
(foto di Mar Nunez)