Si, è vero, la parola capolavoro forse risulta un poco troppo usurata, ma diciamolo subito e chiaramente, siamo di fronte a un lungometraggio di rara bellezza, destinato a conquistarsi un posto di assoluta eccellenza nella storia del cinema di casa nostra. Bonifacio Angius, sfuggendo ancora una volta dagli abusati stereotipi narrativi isolani, con ‘I Giganti’ è riuscito a mettere sullo schermo una storia scandita di silenzi e penombre, che trasuda universalità senza far sentire lo spettatore lontano da casa per un solo istante.
Martedì scorso il regista sassarese, in compagnia del cast, ha presentato la sua ultima fatica al cinema Odissea di Cagliari e noi non abbiamo voluto mancare l’appuntamento dell’anteprima cittadina.
Se questo film fosse una canzone, probabilmente sarebbe ‘White Rabbit’ dei Jefferson Airplane. Pochi fronzoli, pochissime concessioni all’artificio accademico, eroiche quantità di droga, boleri ostinati almeno quanto quello di Ravel e tanta disperatissima umanità. Tutti ingredienti di una festa che promette scintille, organizzata da un gruppo di amici nella isolata e decadente casa di Stefano (Stefano Deffenu), ai quali si aggiungono Venere, (Francesca Niedda e Noemi Medas) tabacco e Bacco, con ettolitri di alcool a lubrificare i complessi ingranaggi degli altri ospiti del banchetto: Massimo (Bonifacio Angius), Andrea (Michele Manca), Piero (Stefano Manca) e il giovane fratello Riccardo (Riccardo Bombagi).

Saluti, chiacchiere, convenevoli e il party pian piano decolla, fra sodali dall’affinità poco elettiva che si rimbalzano accuse, andazzi, dissolutezze e miserie con la stessa velocità con la quale fanno girare la pipetta da crack e la banconota arrotolata. Più che un gruppo di amici si direbbe un’accolita di rancorosi avvelenati dalla vita, dei cangaceiros senza causa che compatiscono le proprie macerie, rinfacciandosi vicendevolmente le rispettive bassezze con pensieri troppo a lungo rimuginati e repressi.
Le sostanze agiscono, riducendo alternativamente i protagonisti in piccolissimi bambini o elevandoli a grandissimi uomini, fino a renderli talvolta dei veri e propri “giganti”. Si va avanti così, tutta notte, incuranti di una tardiva alba che arriverà, foriera d’imprevedibilità, quasi a rilanciare un vecchio adagio sardo che profetizzava la festa nelle sale e la morte nelle scale.
Il pubblico dell’Odissea è entusiasta. Il regista e il cast, presentati da Massimiliano Medda, storico frontman della compagnia La Pola e Nevina Satta, direttrice della Sardegna Film Commission, si concedono alla platea. Bonifacio Angius racconta le varie fasi della gestazione e delle settimane di ripresa, dove, “fra gli attori e la troupe si è venuta a creare un’ottima sinergia che ha permesso a tutti – giovani alle prime esperienze e professionisti con tantissimi anni di cinema alle spalle – di vivere il set in un clima ideale, una congiuntura astrale di recitazione, improvvisazione e divertimento”
In sala è presente anche Luigi Frassetto, che assieme al regista ha curato una sorprendente colonna sonora, nata, racconta Angius, “dall’incontro con un musicista dotato di un’ottima cultura cinematografica che non ha avuto timore di abbassarsi al gusto del regista e con il quale è nata una collaborazione senza muri, una complicità umana e artistica che ha sfornato boleri spontanei creati con parole semplici”.
Da incorniciare l’ottima prestazione dei protagonisti. Dai fratelli Michele e Stefano Manca – che, dismessi i panni di Pino e gli Anticorpi, per la prima volta si sono immedesimati in ruoli drammatici – a un allucinato Stefano Defenu, co-sceneggiatore del film, fino al giovane e promettente Ricardo Bombagi e senza dimenticare lo stesso Bonifacio Angius, interprete assieme ai Manca, di uno spassoso “triello” danzereccio mattutino al sapore di whisky.

Un racconto per immagini, quello di Angius, capace di suscitare ilarità e trasmettere angosciosi rintocchi, dove si respira il grande cinema, quello dei cani da rapina di tarantiniana memoria, quello del Danny Boyle di Trainspotting, fino ad arrivare a Visconti, Fellini, Leone, Ferreri e Monicelli. Un racconto di parole, ovviamente, ma anche di lunghi silenzi e inquietanti penombre, costruito in una scenografia “nobile e reazionaria”- come dice il regista – che rispecchia la Thiesi del tempo che fu, ma che potrebbe essere la Pampa, la Maremma, l’Arizona, la Provenza o qualsiasi altro luogo al mondo e riflettere ugualmente lo stesso decadentismo dei personaggi.
Insomma, ‘I Giganti’ è assolutamente un’opera da vedere. Con un unico avvertimento, per rimanere in tema di ballo e bolero, rubato al regista francese Claude Lelouch: “Non si fa un giro di valzer con un gigante, senza che vi schiacci un po’ i piedi”.