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L’urlo spezzato di Chester Bennington, cinque anni dopo

Di Simone Spada
22/07/2022
in Musica e spettacolo
Tempo di lettura: 3 minuti

L’urlo infuocato, nella stanza. Per quanto non abbia fiato, si sente assordante. Devasta tutto quello che ha intorno, come un’onda. Poi si spegne per sempre. Chester Bennington rimane così, sospeso, dopo aver compiuto l’atto più estremo della sua vita. Dopo aver provato ad urlare, più forte di prima, più forte di sempre, di ogni sua canzone. Ma nessuno, stavolta, lo ha sentito. “Resto qui seduta a pensare che non posso credere che siano passati cinque anni dall’ultima volta che ti ho visto e che ho baciato il tuo dolce viso. Addio“ ha scritto la moglie Talinda in questi giorni, nel ricordo di quel giorno in cui la luce si è spenta.

L’emozione non ha voce, ma un urlo

Lee Bennington è stato poliziotto e un grandissimo supporter del figlio, per quanto non sia mai riuscito ad evitarne il percorso a ostacoli. Non ha capito, negli anni, il motivo di quell’urlo – così potente, così melodico – che Chester era in grado di sprigionare nelle canzoni. “Quando ho sentito Chester urlare per la prima volta, gli ho detto: Come hai intenzione di mantenere la voce, cantando in quel modo?” ha raccontato ai giornali, “Mi ha detto: Mi sono allenato in modo da non stressarmi la gola. Tutta la sua energia era orientata al canto“.

Eppure, chi ha conosciuto da vicino il cantante, sa bene che non si trattava solo di un semplice esercizio. Nel bagaglio c’erano la separazione dei suoi genitori, gli abusi sessuali a 13 anni, l’abuso di sostanze stupefacenti durante l’adolescenza, due relazioni fallite e due mogli, i tour in giro per il mondo, i sogni infranti e quelli esauditi. Le amicizie perdute. Chris Cornell, ad esempio. Il suo idolo, il suo grande amico che appena due mesi prima aveva deciso di togliersi la vita, travolto dalla depressione.

Il canto nel destino

Ecco, la musica è sempre stata una via d’uscita. Ci ha investito tanto, sin dalla decisione di trasferirsi a Los Angeles in uno degli sliding doors più importanti della sua carriera. Conosce Mike, Brad, Joe, Rob e Phoenix. Si fanno chiamare Xero, ma presto diventeranno i Linkin Park. Siamo agli inizi del nuovo millennio, Chester non lo sa, ma ha di fronte i compagni con i quali costruirà una parte fondamentale di una generazione, che nel nù metal troverà un approdo morbido. E nel primo album Hybrid Theory, 27 milioni di copie vendute in tutto il mondo e disco di diamante, riversa l’urlo di rivalsa verso una adolescenza faticosa. I testi parlano, non a caso, di isolamento, delusioni, abuso di alcol e droga, sentimenti ed esperienze negative.

Ma Chester sa cantare molto bene. Per quanto l’urlo sia fragoroso, per quanto serva a levare fuori i ricordi peggiori, il lato melodico è ancora più ardente. Il singolo In The End, più ballad rispetto agli altri pezzi, è l’unico che raggiunge la top 3 dei singoli più venduti. Mike Shinoda racconta che il testo riflette “la disperazione e la natura effimera del tempo e delle nostre vite“. Non serve urlare, alle volte, per riuscire a descrivere ciò che ci gira intorno. Nel successivo disco c’è un brano, ancora una volta una ballad, che raddoppia il concetto e il successo: si chiama Numb, ed è uno dei più ricordati e coverizzati della band.

La fine, così è se vi pare

Per tanti il successo è una giustificazione. Basta per mettere sotto il tappeto il passato. Non è proprio così. Le persone cercano a tutti i costi di trovare un rifugio dai fantasmi che di tanto in tanto ritornano. Qualcuno li chiama demoni, perché così è più facile rappresentare un nemico. Ma in realtà Chester si sentiva come un nomade in cammino, sulle spalle uno zaino pieno di mattoni. E più camminava, più ne sentiva il peso. E più camminava, e più perdeva – per strada – i compagni di viaggio con cui condividere quel peso, quelle stesse sensazioni. Ha preferito non urlare, non più, dopo aver affogato le lacrime rivolte all’amico Cornell.

Chester Bennington è morto il 20 luglio del 2017, impiccato nella sua residenza di Palos Verdes Estates. La moglie ha raccontato che da tempo gli occhi del cantante avevano cambiato umore, ma era bravo a dissimulare qualunque tipo di problema. Aveva provato ad avvisare gli amici, i colleghi di band presenti (Linkin Park) e passate (Grey Daze). Ma nessuno si era accorto di nulla. Fino all’ultimo urlo, acuto, che nessuno ha potuto sentire.

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