C’è la suggestione per i racconti di sua nonna, riguardanti persone e fatti della Sardegna del 1940 di cui ebbe conoscenza diretta, alla base dell’idea sviluppata da Giovanni Columbu nel suo nuovo film “Balentes”, che ha per protagonisti tre giovani: Ventura e Michele, due ragazzi di 11 e 14 anni che decisero di liberare da un allevamento i cavalli destinati all’esercito per evitare che venissero inviati e poi massacrati in guerra, e Anna, una maestrina poco più grande di loro.
L’esordio a Roma e l’ultima proiezione al festival IsReal di Nuoro
Un secolo fa non esisteva il concetto di adolescenza come la intendiamo oggi ma l’età dei personaggi principali lo ha reso comunque appropriato per essere invitato ad “Alice nella Città”, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata al cinema sui giovani e per i giovani, dove è stato presentato in anteprima assoluta nello scorso ottobre. Una singola proiezione come evento speciale, poco pubblicizzata, inserita nel contesto delle attività degli addetti ai lavori in un luogo prestigioso come il Palazzo delle Esposizioni, ma lontano dal cuore di una manifestazione che ogni autunno avvicina un nuovo pubblico al mondo del cinema portando numerose scolaresche all’Auditorium Parco della Musica e all’Auditorium della Conciliazione.
Per Columbu è stata lo stesso una grande emozione, poter presentare al pubblico per la prima volta la sua nuova opera con l’entusiasmo di un regista alle prime armi, e non di un veterano che pure, in un quarto di secolo, ha diretto solo quattro lungometraggi. Dopo l’anteprima di ottobre, “Balentes” ha iniziato un importante percorso festivaliero in Italia e all’estero.
L’invito al 24FRAME Future Film Fest, storica manifestazione bolognese dedicata al genere dell’animazione, è stato il riconoscimento al coraggio di Columbu di spingersi verso territori inesplorati: si tratta, infatti, del suo primo film di animazione e per spiegare la trepidazione di avere sperimentato a più di settant’anni un mezzo d’espressione mai studiato né adottato prima, ha spesso utilizzato l’efficace ossimoro di “secondo esordio”.
La tappa più recente è stata all’IsReal Festival di Nuoro, che ha scelto “Balentes” come film di apertura e ne ha estrapolato un fotogramma per la locandina della IX edizione. Il festival nuorese è una vetrina di cinema documentario, con particolare attenzione alle produzioni sarde; sebbene non si tratti di un documentario in senso stretto, di questo genere “Balentes” ha il contesto storico autentico di partenza, nonché il rapporto con la tradizione orale che per secoli è stata uno dei modi per tenere in vita storie circoscritte e marginali altrimenti destinate a scomparire dalla memoria collettiva.
Un film ambientato nel passato ma capace di parlare anche al pubblico d’oggi, diretto da un regista di lunga esperienza ma con l’entusiasmo di un esordiente, a cavallo tra animazione e documentario: bastano questi indizi sparsi a far capire quanto sia complesso un progetto come “Balentes”, prodotto da Luches SRL e Rai Cinema con Tama Filmproduktion, distribuito da MyCulture in due sale (lo Spazio Odissea di Cagliari e il Moderno Cityplex di Sassari) ma con la speranza di ottenere ulteriore visibilità anche al di fuori del circuito dei festival, che pure continuerà a frequentare (il prossimo sarà il prestigioso Festival internazionale del film d’animazione di Annecy).
Un film come un’opera d’arte
Immergendosi nella storia dei due ragazzi che mettono in pratica un vero e proprio atto politico, sebbene ingenuo e impulsivo, per esprimere ideali di libertà e giustizia privi di interessi personali, si torna al periodo peggiore del fascismo che stava per trascinare l’Italia nella guerra. Ventura e Michele mostrano il loro valore (o meglio, la loro “balentia”) con un’azione di cui valutano le conseguenze immediate, ma non quelle ben più serie che seguiranno e li travolgeranno: il loro atto di ribellione è potente perché l’ordine costituito che vogliono ribaltare non è solo quello imposto dall’esterno, ma anche quello delle consuetudini locali da accettare senza discutere. La sensazione, però, è di trovarsi davanti a una leggenda, più che a una cronaca; questo disorientamento è indotto da didascalie e dialoghi in sardo, ma soprattutto dal particolare stile animato sviluppato da Columbu come autodidatta. Segni, più che disegni, quelli tracciati dal regista: schizzi in bianco e nero fatti a mano, su carta, dal tratto grafico forte e senza alcuna pretesa di realismo, per scelta tanto produttiva quanto estetica. I personaggi, abbozzati come ombre in costante movimento, compaiono e scompaiono su imponenti sfondi fissi: come se lo spazio degli ambienti sardi ancestrali avesse una forza eterna e immutabile, mentre le figure umane patissero la precarietà del tempo che scorre e non torna indietro. Quando qualcuno dei personaggi parla, non si vede mai una bocca muoversi perché corpi e volti hanno contorni indefiniti: le parole fluttuano nell’aria slegate tra loro, vengono sprigionate e poi assorbite, più che dette e poi ascoltate. Ogni dialogo, ogni azione, ha una tridimensionalità sonora che riempie perfettamente ogni sequenza: è paradossale per un film in cui la componente visuale è così curata da risultare magnetica per lo sguardo, ma “Balentes” potrebbe essere ascoltato a occhi chiusi e funzionare anche come radiodramma, se una voce leggesse anche le didascalie. Con questa costruzione ben bilanciata, immagini e suoni non prevalgono mai l’uno sull’altro: l’equilibrio degli stimoli sensoriali produce un’esperienza avvolgente. Se sembra la descrizione di un’opera d’arte, più che di un film, è perché di questo si tratta; un’arte che richiede la partecipazione attenta dello spettatore, e una sala cinematografica di qualità per apprezzarne il valore.