È un omaggio al Maestro Éric Alfred Leslie Satie la nuova produzione firmata Laborintus e portata in scena al Vecchio Mulino a Sassari lo scorso 29 ottobre, con la partecipazione attenta di una clientela affezionata.
“Satie non è il punto di partenza della scelta ma il punto di arrivo” – ci ha detto Angelo Vargiu, direttore artistico – “il concerto nasce per ricostruire l’atmosfera della Parigi degli inizi del Novecento, dove si raccoglievano artisti come Picasso e Stravinskij e di cui il compositore è stato protagonista tanto da aver influenzato i musicisti della generazione successiva come John Cage: tra lui e Satie si instaura un legame diretto che lo porta ad eseguire rigorosamente le Vexations 840 volte al pianoforte”.
Un ambiente caldo e familiare, estremamente immersivo, accoglie l’ensemble composta da Simone Sassu al pianoforte, Angelo Vargiu al clarinetto e Anna Vilardi al violino mentre la coinvolgente voce di Alessandra Luzzu proietta la mente nelle strade di Parigi: è lì che la storia è ambientata, nei vicoli e nei circoli frequentati da pittori, musicisti e artisti ispirati da ogni musa nell’epoca della Belle Époque.
Lo spettacolo si apre con l’esecuzione di una serie di opere del Gruppo dei Sei (i Noveaux Jeunes), giovani compositori la cui musica costituì una reazione alle tendenze dominanti dell’impressionismo musicale di Debussy e del wagnerismo. Ma Satie ha incluso nella sua vita anche pittura, letteratura, teatro e cinema, nella sua arte sono confluiti impressionismo, simbolismo, cubismo, dadaismo, neoclassicismo perché nel cuore di quell’epoca la contaminazione era compagna di ogni grande mente.
“Il carattere antiretorico, antiromantico e antiaccademico del musicista e compositore Satie – interviene Sassu – ci ha suggerito l’affinità con la piccola protagonista della pellicola “Zazie nel metrò”, li accomuna l’essere degli “enfants terribles”, caratterizzati da una personalità atipica, stravagante e scomoda”. E così melodiosi suoni accompagnano la riproduzione, sullo schermo a parete, di alcune scene tratte dal film che riproduce fedelmente il romanzo di Raymond Queneau da cui vien fuori una Parigi cangiante, il linguaggio è sperimentale, quasi cubista e fa da padrone.
Un omaggio da vivere, oltre che da vedere, capace di rendere il ricordo di un tempo lontano così vicino da poterlo respirare e gustare perché dopo la messa in scena, il pubblico è invitato a un momento di convivialità, condividendo la tavola e le impressioni con gli artisti. La quarta parete non esiste più.