La designer romana ha saputo trasformare la passione per il disegno, il make up, la moda e le nuove tecnologie in un business di successo multi sfaccettato che, dopo una lunga esperienza londinese, l’ha portata a Los Angeles dove lavora come art director ad altissimi livelli dividendosi fra cinema, musica e video arte.
Paola Rocchetti, romana di nascita, londinese per scelta e ora Losangelina per professione. Il tuo percorso inizia con una famiglia d’arte. Ci parli un po’ di te?
Sono cresciuta ammirando e assorbendo il talento e l’influenza artistica di famiglia. Mio padre ottenne il premio Oscar per il make up di “A spasso con Daisy”, il mio bisnonno aprì un laboratorio e una ditta di parrucche poi gestita da mio nonno. Questo è stato il mio imprinting, una vita tra trucchi e oggetti di scena fin dalla nascita. Il genere horror infatti non mi ha mai intimorito: la nostra casa era invasa di sangue finto, ossa e maschere spaventose, anche se i segreti del make up teatrale e cinematografico non me li ha insegnati mio padre in quanto era spesso fuori a causa del lavoro e mi diceva semplicemente “sei brava di tuo”. Era una persona schiva ma io lo osservavo tantissimo e in alcune occasioni ho potuto aiutarlo sul set o cimentarmi nella realizzazione delle parrucche con mio nonno. Ho realizzato tardi l’importanza di questo background ma ora mi rendo conto che è stata certamente una grande influenza. Amavo disegnare e ballare ma ero molto timida quindi ho avuto difficoltà a chiedere ai miei genitori di indirizzarmi così ho fatto studi scolastici non entusiasmanti e ho iniziato a concretizzare le mie passioni da adulta con vari corsi, tra i quali graphic design e fashion design a Roma ed in seguito character animation alla Central Saint Martins – University of the Arts London.
Già da giovanissima, a Londra, eri solita sperimentare con abiti disegnati da te e avevi una straordinaria passione per anime e Giappone. Quali sono state le principali influenze nel tuo percorso artistico?
Sin da piccola sono stata influenzata tantissimo dai manga giapponesi. Adoravo anche il Muppet Show e la mia personalità è a metà tra un manga e un muppet, amo l’estetica avant garde e l’ironia. Altre grandi fonti di ispirazione sono state la musica e la scena alternativa, in particolare quella gothic e fetish. Ho sempre amato la musica elettronica e la libertà creativa che si respira nella scena underground, per questo organizzavo serate a Roma. In realtà però Roma e la mentalità chiusa e tradizionalista dell’italiano medio mi sono sempre stati stretti e quindi, dopo un’estate da stagista come aiuto al grande costumista Enrico Sabbatini nella preparazione dei costumi del film “Sette anni in Tibet”, decisi di trasferirmi a Londra. Inizialmente mi sono proposta come designer di moda, all’epoca mi aveva folgorato la rivista Skin Two in cui comparivano fantastiche creazioni in latex vicinissime ai costumi dei manga ma mescolate all’alta moda che amavo: Gautier, Montana, Mugler. Cercavo aziende a cui proporre i miei abiti in latex ma il business era troppo piccolo e ho cominciato a lavorare per Cyberdog. Questo brand era davvero rivoluzionario in quegli anni con la sua visione della moda futuristica. Dopo aver illustrato grafiche per loro mi sono resa conto di quanto Londra fosse, all’epoca, la città delle opportunità, se avevi un sogno nel cassetto ti dava gli strumenti per farlo diventare realtà. Io personalmente ho seguito un percorso di esplorazione e ricerca che alla fine mi ha aperto le porte del mondo del motion design e delle produzioni video. Ora che lavoro come art director e motion designer posso utilizzare le varie esperienze e conoscenze accumulate negli anni.
Sei anche attratta dalle nuove tecnologie, so che stai lavorando a particolari filtri per Instagram e Facebook. Cosa stai elaborando?
Tutto è in continua evoluzione e a me piacciono davvero tante cose, faccio fatica a concentrarmi su un solo medium così ho cominciato a dedicarmi a questi filtri come hobby. Mi permettono di unire la passione per la moda, per il make up e per le nuove tecnologie. Il mio Instagram è molto improntato al make up perché adoro trasformarmi e trasformare, per creare personaggi. Chissà, forse quando invecchierò mi dovrò dare una calmata ma oggi per fortuna non c’è limite di età per essere cool.
Come art director lavori a progetti molto diversi che abbracciano più competenze: make up, moda, grafica, digital design, cinema, musica. Los Angeles ti ha consentito di mettere alla prova le tue capacità?
A Los Angeles io e il mio compagno Giovanni Bucci, regista e motion designer, abbiamo aperto Void N’ Disorder che riassume tutte le competenze che hai elencato e diventerà un brand ad ampio spettro. Oggigiorno ogni prodotto (video, moda, etc.) viene consumato velocemente e viene subito dimenticato, con VND puntiamo a produrre lavori di qualità che la gente possa ricordare anche a distanza d tempo. Abbiamo lavorato per il film ‘Terminator’, per la band Korn, per la serie tv Netflix ‘Curon’ e per tanti progetti che corrispondevano alla nostra idea estetica e professionale. Il business della produzione video offre moltissime possibilità perché Los Angeles è davvero il cuore di questo mondo che spazia dal cinema alla musica fino alla pubblicità.
Sei molto sensibile alle tematiche legate all’ambiente e so che tra i tuoi tanti progetti hai realizzato una collezione di abbigliamento a impatto quasi zero utilizzando materiali naturali. Ce ne parli?
Amo gli animali e la natura, e sinceramente sono molto preoccupata per il futuro del nostro pianeta. Per fortuna non vivo nel traffico losangelino ma sono vicino al mare. Dopo anni di vita cittadina ho riscoperto la qualità dell’aria e del cibo che mangiamo. Da qui l’idea di impostare la produzione dei modelli che proponiamo con il brand Void N’ Disorder a impatto quasi zero, realizzati con cotone organico, canapa e bambù. Fa parte di un mio pensiero verso l’economia globale, evito di comprare grandi brand, scelgo con cura cosa mangiare, cerco di dare il mio contributo nel quotidiano. Penso che il potere di acquisto del singolo sia sottovalutato, se tutti facessero delle scelte più eco solidali l’impatto a livello globale si vedrebbe. Magari si tratta di rinunciare ad un drink in più o all’ennesimo capo di abbigliamento che non ci serve, ma io penso che ne valga la pena. Giovanni, il mio compagno, ha una band ODDKO che recentemente sta andando molto bene e alcuni brani affrontano queste tematiche. Dopo “Disobey” e “D4TM” ora abbiamo in lavorazione dei nuovi music video con i quali speriamo di riuscire a far fare una pausa di riflessione.
Ti manca Roma? Cosa c’è nel tuo futuro professionale?
Mi manca l’Europa, mi manca Londra che è sempre stata il mio metro di misura per tutti i luoghi anche se con Brexit son cambiate tante cose. Devo però ammettere che la qualità della vita a Los Angeles ultimamente è molto migliorata, ma il clima politico è incerto e quindi staremo a vedere. Sono sempre in evoluzione come persona e come professionista. Posso dirti per ora che voglio concentrarmi su Void N’ Disorder sia per produzioni commerciali che per quello che abbiamo in lavorazione per ODDKO. L’idea è quella di riuscire a collaborare con clienti e artisti che condividano la nostra passione per qualità e creatività, dando il nostro contributo al mondo dell’arte nelle sue varie sfumature.
(Con il contributo fotografico di Dave Tavanti, Giovanni Bucci, Fabio Meschini)
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