Il fascino di una narrazione sta nella sua capacità di proiettare nella mente di chi legge, così come di chi ascolta tramite l’interpretazione ad alta voce di un’altra persona, immagini multiformi, a tratti oniriche e a tratti concrete, che formano una sorta di mondo sospeso tra realtà e immaginazione in cui è possibile rifugiarsi in qualsiasi istante. Un mondo a sé, speciale proprio perché unico e misterioso, che Emilio Lussu è stato in grado di tratteggiare in quello che lui stesso ha definito come il suo unico racconto, pienamente definibile come tale, intitolato ‘’Il cinghiale del diavolo’’, che vide la luce per la prima volta nel 1967, ripubblicato esattamente vent’anni fa, nel 2004, dalla storica casa editrice Ilisso. Il breve ma intenso scritto, costituito da 15 pagine, è preceduto da una dettagliata nota introduttiva del celebre critico letterario Alberto Asor Rosa, il quale fu anche docente universitario nell’Ateneo cagliaritano, venuto a mancare nel 2022, a cui si aggiunge un commento dello stesso Lussu in cui svela i retroscena che ne hanno accompagnato la stesura. Inoltre, in questa nuova edizione, si trovano anche cinque approfondimenti di Lussu incentrati sulla Sardegna, ovvero: La mia prima formazione democratica, La Brigata Sassari e il Partito Sardo d’Azione, L’avvenire della Sardegna, Brigantaggio Sardo, Oratio pro ponte. Da segnalare anche la suggestiva copertina dove spicca un particolare di un dipinto risalente al 1937 dell’artista dorgalese Salvatore Fancello raffigurante un espressivo cinghiale.
Il contesto
In pochi sono a conoscenza di questo piccolo ma significativo lavoro di Emilio Lussu, passato alla storia per opere come ”Marcia su Roma e dintorni” del 1933 e ”Un anno sull’altipiano”, uscita nel 1938, frutto della sua esperienza come Ufficiale della Brigata Sassari nel primo conflitto bellico. Proprio il 1938 sarà l’anno in cui Lussu, in esilio in Francia dopo essere scappato dal confino a cui era stato condannato per la sua avversione alla dittatura fascista, scriverà ‘’Il cinghiale del diavolo’’ che definisce nel suo commento come “un racconto di caccia tanto estraneo ai miei interessi culturali”. Un racconto che parte proprio dal rituale dell’andare a caccia per spostarsi su tematiche più elevate e intimiste. Il racconto, scritto durante il suo soggiorno nell’albergo Ville Normande a Parigi, affiora le radici nell’attività delle battute di caccia in modo tutto fuorché casuale. Spiega, infatti, Lussu: “attraverso la caccia rivedevo la Sardegna dall’esilio. Non era una sofferenza nostalgica ma una trasposizione nella propria patria – patria terra dei padri – un rivivere la propria vita festosamente”. Il tutto fu mandato a una personalità del calibro di Gaetano Salvemini il quale, come afferma il fondatore del Partito Sardo d’Azione, avrebbe dovuto farlo pubblicare in una rivista americana che, però, non apprezzò quanto le venne proposto. Dal canto suo, Lussu non ne fece di certo un dramma, accettando serenamente il rifiuto con un pizzico di immancabile ironia. Ironia che traspare dalle parole con cui presenta ‘’Il cinghiale del diavolo’’ definito come “un racconto che non suscita grandi emozioni”. Emozioni che, invece, possono essere provate se si inserisce ciò che è stato letto nel contesto delle seducenti notti d’inverno, trascorse a degustare gustose castagne arrosto e mandorle al forno e ad ascoltare avidamente le storie narrate dai cacciatori più anziani che raccontavano al loro giovane e appassionato uditorio le gesta dei propri avi.
Il racconto
La storia riferita da Emilio Lussu è ambientata nelle vallate di Armungia, ovvero il paese di 397 abitanti nella sub regione del Gerrei in cui l’intellettuale è nato e cresciuto, durante una battuta di caccia in cui si profilano i personaggi di zio Francesco il porcaro, vecchio capo dei battitori, e zio Pietro il capo caccia. E proprio grazie alla figura di zio Pietro che è possibile comprendere che il racconto va al di là dell’attenzione per gli aspetti folcloristici per focalizzarsi su qualcosa di più pregnante. Infatti, a pagina 32, spicca la sua riflessione elaborata mentre medica il proprio cane di nome Senza-Paura ferito proprio dal sibillino cinghiale del diavolo. “Come ti sei lasciato ferire così, piccolo cane mio? Tu sei troppo generoso e non hai pensato che un cinghiale di quel genere non si doveva attaccare di fronte”, afferma Zio Pietro che prosegue con malinconia e rabbia. “Ma così è la vita. I nobili animali come te affrontano con audacia i pericoli e preferiscono la morte in combattimento a una vita miserabile. Perciò i cani lecca scodelle hanno vita lunga. Ma che vita è la loro? Dimmi, Senza-Paura, che vita è la loro”? Dal monologo di zio Pietro sono molteplici gli elementi importanti da cogliere: il primo è il legame viscerale che può unire un essere umano a un animale, il secondo è una critica tacita (ma neanche troppo) a chi considera gli animali alla stregua di un oggetto da possedere senza coglierne la dolcezza e l’empatia, il terzo – forse il più rilevante – è un attacco sferzante a coloro che in un frangente estremamente delicato e difficile della storia d’Italia come la fine degli anni Trenta, con l’assassinio del fratelli Rosselli insieme a cui Lussu fondò nell’agosto del 1929 il movimento antifascista di ”Giustizia e Libertà”, l’introduzione delle leggi razziali in Italia e il controllo sempre più opprimente del regime su ogni singolo aspetto della vita quotidiana della popolazione, non avevano ancora preso una posizione contro la palese barbarie fascista che si verificava giornalmente sotto i loro occhi.
Un’aura misteriosa permea l’intero racconto in cui viene naturale chiedersi chi sia e da dove venga il cinghiale del diavolo che ha ferito il coraggioso Senza-Paura. A darne la spiegazione è la figura del saggio Zio Stanislao che dà un netto incremento al ritmo della narrazione, entrando nei dettagli: il famigerato cinghiale è in grado di eliminare chiunque trovi sul suo cammino e di scampare ai colpi persino dei battitori più esperti. I suoi movimenti sono ipnotici e sfuggono a qualsiasi tattica e previsione. L’intervento di Zio Stanislao è il fulcro del racconto: il vecchio saggio narra un episodio di caccia notturna dove il protagonista è suo padre che, all’improvviso, capta il rumore dei passi del cinghiale. In questo momento, comincia la parte del racconto che Lussu intitola ‘’I due demoni’’: il padre di zio Stanislao d’un tratto avverte le voci, definite cavernose, di due entità sfumate e dalla caratteristiche cupe le quali cominciano a dialogare tra di loro. Consapevole dei pericoli in cui sarebbe potuto incappare affrontando di petto la situazione, prende la decisione di nascondersi restando in ascolto di un dialogo agitato e ansiogeno, durante cui una delle due presenze percepite chiede all’altra di poter avere in prestito il cinghiale maligno in occasione della caccia grossa nei pressi di Capo Carbonara durante il venerdì santo. Ciò che emerge dal racconto è la paura, non estremizzata ma umana e per questo autentica che non sfocia minimamente nella codardia, di un uomo che si trova ad avere a che fare con una manifestazione di un qualcosa che va al di là della sua comprensione e al contempo con lo stupore e l’adrenalina per ciò che sta per accadere. L’arrivo del cinghiale è descritto nei minimi particolari. “Apparve il cinghiale, un vecchio cinghiale, bianco come un lenzuolo di lino. Al suo primo apparire, non si vedevano che le zanne, diritte come due spiedi. Sembrava non avesse altro che zanne. La testa era stretta, tagliata come un’accetta. Il cinghiale camminava a passo, piano piano, e ogni due o tre passi, il grugno gli cadeva sui ciottoli”.
Il cinghiale del diavolo dal colore bianco: potrebbe sembrare una contraddizione, un controsenso fin troppo evidente eppure Lussu anche nel descrivere questa creatura feroce ed enigmatica sembra voglia trasmettere un barlume di speranza e di fiducia. La speranza che, anche da eventi imprevisti e apparentemente incomprensibili, è possibile trarne un insegnamento, un monito, una indicazione per il prosieguo del proprio cammino. E se di cammino si parla, quello di Lussu è stato ricco di esperienze e di vicende rilevanti di cui è stato protagonista e testimone con occhi attenti e spirito risoluto. Quella risolutezza che lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza e che emerge anche da queste poche ma intense pagine in cui magia, folklore e letteratura si amalgamano facendosi una voce unica che sussurra, con tono suadente e pacato, che anche nel buio più profondo c’è sempre uno spiraglio di luce verso cui rivolgere il proprio sguardo.