Visionaria, appassionata, eccentrica, vulcanica, innovativa sono solo alcuni dei possibili aggettivi con cui raccontare Anna Piaggi, la giornalista icona dello stile, che il 22 marzo avrebbe compiuto 90 anni.
Una storia unica quella di Anna, tra le prime giornaliste iscritte all’Ordine, amava viaggiare e creare intrecci tra cose e persone. Una penna intelligente e sagace, tanto significativa che il Victoria and Albert Museum di Londra le dedicò una mostra di memorabilia nel 2006 dal titolo “Anna Piaggi Fashion-ology”, naturalmente mentre in Italia la si vedeva solo come una delle tante stranezze del circo della moda. Ma lei era molto di più.
Sua cugina, altra penna elevatissima, Natalia Aspesi, commentò cosi su Repubblica quella mostra: “In un Paese come il nostro, dove si ha diritto alla fama popolare e all’interesse degli intellettuali solo se si mimano villanate in televisione, saranno in tanti a chiedersi chi mai sia questa signora cui un grande museo straniero dedica tanta devota attenzione”.
In prima fila ad ogni sfilata il suo merito non fu certo quello di incarnare l’aspetto bizzarro ed eccentrico da celebrare in passerella. Al contrario Anna è ricordata da tutti come donna da backstage, sempre alla ricerca del dettaglio introvabile e dello scatto inusuale insieme al marito Alfa Castaldi, tra gli esponenti più in vista della nuova fotografia italiana.
Karl Lagerfeld la consacrò a regina di stile nel 1986 dichiarando nella prefazione del libro scritto a quattro mani proprio con Anna intitolato “Anna Chronique” (edito da Longanesi & CO): “Anna inventa la moda. Nel vestirsi fa automaticamente quello che noi faremo domani”.
Non solo una penna abile ma una mente in grado di concepire graficamente la realtà e tradurla in prodotti artistici che non possono essere solo definiti editoriali o banalmente articoli. Le sue celebri “D.P. Pagine Doppie Fashion Algebra” (edito da Leonardo Arte 1999) mostrano una visione innovativa e creativa ben lontana dalla banale interpretazione del lavoro degli stilisti. Il libro raccoglie i lavori più significativi che la Piaggi realizzò per Vogue.
Prima di Vogue lavora a Vanity negli anni ‘80, che contribuì a creare, e ancora prima ad Arianna con il ruolo di fashion editor, negli anni ‘60, dopo un esordio di carriera come traduttrice per Mondadori.
Nello sguardo della Piaggi la moda è la vita stessa, con i suoi incontri, sovrapposizioni, sottrazioni, eccessi. Il suo stile visionario a metà tra haute couture e punk è rivoluzionario e si traduce in pagine piene di spunti e riflessioni ancora oggi cariche di impatto visivo ed emotivo. Individuatrice di tendenze, talent scout, consulente per gli stilisti e musa alternativa Anna fu capace di valorizzare accostamenti impossibili e impensabili, unendo il moderno, anticipando il futuro e soprattutto rivisitando il passato in chiave contemporanea.
La moda può e deve essere rivoluzionaria, oggetto di interpretazione e infine espressione del gusto individuale.
Quando il vintage non era neanche un’idea ma solo “abiti usati” di nessun interesse per la moda lei ne fece terreno di studio, indagine stilistica e infine cavallo di battaglia del suo stile personale. Appassionata di cappelli e di tessuti nella sua vita collezionò migliaia di pezzi unici come lei.
Nel 2016 Alina Marrazzi realizzò un documentario intitolato “Anna Piaggi – Una rivoluzionaria della moda” in cui riuscì a restituire un’immagine completa della giornalista grazie ai tanti ricordi di addetti ai lavori e amici.
Il suo pregio più grande è forse quello di aver saputo leggere il mondo attraverso il filtro della creatività, rendendosi capace di un’incredibile impresa: fermare il tempo.
Ogni abito da lei indossato, ogni accessorio stravagante e all’avanguardia che la ha resa così riconoscibile non risponde più al frenetico ritmo del fashion system, effimero per definizione, ma, come un’opera d’arte, è destinato all’eternità.