Continua ad essere attuale e sempre più usata l’espressione Body Shaming che fa il paio con quello che potrebbe essere il suo opposto, il Body Positivity. Da un lato la pessima abitudine di deridere e offendere pesantemente qualcuno per aspetti ‘particolari’ del corpo, dall’altro il tentativo di reagire attraverso un atteggiamento di positività nei confronti del corpo, senza mettere la lente di ingrandimento sui difetti e valorizzando i propri punti di forza. Detto così sembra un banale ‘nascondi i difetti e metti in mostra le qualità’. Ma è molto di più perché il Body Positivity sembra essere un vero e proprio movimento sorto per contrastare l’accanimento che spesso si riversa sulle persone per la sola ‘colpa’ di essere ‘differenti’. Magre o grasse, alte, basse, nasone, pelose, flaccide, troppo muscolose e una infinita combinazione di dettagli che vengono presi di mira e possono diventare un vera ossessione, generare depressione, ansia e perfino condurre al suicidio.
Il primo caso di Body Shaming e cosa lo differenzia dalla generica presa in giro
Risale alla notte dei tempi, nel senso che è triste pratica umana quella di prendere in giro qualcuno per un suo ‘anomalo’ aspetto. Sarà probabilmente capitato a qualcuno di voi, a scuola, di assistere o perfino di essere parte in causa quando veniva preso di mira il ‘cicciobomba’ di turno, o la ragazzina ‘cespuglio’ di capelli o semplicemente chi si vestiva ‘male’. Se avevi le lentiggini erano subito ‘cacchette di mosca’ e se per sbaglio avevi i capelli rossi, in un attimo eri ‘testa di sugo’ o ‘peli di carota’.
Ma tra presa in giro e body shaming ci sono dei distinguo da considerare.
Oggi la vita nei social media ha amplificato la portata del dileggiare e lo ha reso globale. Se prima te la cavavi con un soprannome che al massimo faceva il giro del quartiere, oggi diventi un fenomeno mediatico, ahinoi negativo se ne sei la vittima. Una volta Umberto Eco nel 2015, all’inesorabile affermarsi delle piattaforme internet in cui chiunque poteva condividere la sua, si espresse con le ormai famose parole “i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”. Il problema maggiore è che “danneggiano la collettività”. E “se prima venivano messi a tacere in un attimo, oggi hanno la stessa risonanza di un premio Nobel”. In pochi istanti centinaia di migliaia di persone massacrano qualcuno o qualcuna su Facebook, Instagram, Twitter e affini. Si tratta molto spesso di persone comuni, ma i cosiddetti VIP non ne sono esenti e anzi, con loro il boccone si fa ancora più succulento.

Casi di Body Shaming, nessuno è esente
Dal comune cittadino ai VIP, non esiste esenzione alla derisione social e non è previsto nessuno sconto sulla portata e gravità dei commenti che molto spesso incitano al suicidio. Un rapporto del 2021, risultato di una ricerca di Skuola.net su 6 mila giovani tra i 10 e i 17 anni, mostra che quasi 9 adolescenti su 10 sono stati, almeno una volta, vittime di Body Shaming. I colpevoli? Il 60% sono coetanei, un buon 8% sono giovani oltre l’adolescenza e il 20% sono adulti.

Saltano all’occhio i più sensazionali casi riguardanti persone famose, per lo più donne. Tra le internazionali troviamo Lady Gaga, Kate Winslet, Scarlet Johansson o Jennifer Lawrence. La giornalista italiana Giovanna Botteri è stata spesso oggetto di critica per la semplicità del suo vestire e per i capelli bianchi e senza la piega fatta di fresco, a cui ha risposto con eleganza, spiegando che il suo aspetto è secondario rispetto al lavoro di reporter. Bella, ricca, famosa, formosa, soda e cool quanto vuoi, non ci sono storie, se il branco di social hater decide di massacrarti di insulti per una ruga di troppo, un tatuaggio nel posto sbagliato o un sano fianco leggermente arrotondato, rischi persino di finire la tua carriera.

Ma, c’è da dirlo, i social hanno dato spazio non solo a legioni di imbecilli, ma anche a mandrie di corpi in esposizione.
Il corpo, oggetto sommatorio o contenitore di essenze?
Il filosofo Umberto Galimberti, in un incontro del 2008 presso la Fondazione Corriere della Sera, parla di corpo e di quanto la sua dimensione originale sia bene espressa in tedesco con la parola körperdig, il corpo ridotto a cosa, sommatoria di organi come oggetto di osservazione clinica. Ci spiega che quando andiamo in ospedale, la nostra soggettività viene soppressa e noi diventiamo dei rappresentanti di organi. Al medico epatologo interessa il tuo fegato così come al gastroenterologo il tuo stomaco se vi rileva un malanno. Il tuo organo malato ti colloca nel luogo ad esso deputato. Per estensione, al mondo degli scannatori social non interessa chi sei, se hai delle qualità, un pensiero, talento, sentimenti o altro, per questi tu sei un aggregato di estetiche che se non rientrano nei canoni della bellezza del momento, verranno sezionati, maciullati e gettati nel fango. È il tuo incauto desiderio di esporti a qualunque costo che ti colloca nel luogo in cui sei una banale sommatoria di caratteristiche e dove a nessuno interessa se vali, quanto vali e se stai facendo qualcosa di buono.
Chi si mette in vetrina e chi vi lancia sopra le pietre: perché lo fate?
Lo psichiatra Paolo Crepet ha un’opinione ben precisa che chiama in causa l’educazione. “Se un bambino passa più tempo con lo smartphone che con i genitori biologici, allora è lo smartphone a educare”. E si sa, se non vi è controllo, dal cellulare passa ogni tipo di contenuto. Le regole si imparano da bambini e se hai interiorizzato quelle della giungla internet non c’è da sorprendersi se poi un giovane risponda proprio a quelle. Educazione, regole, confini, presenza di genitori maturi, aiutano un bambino e un prossimo giovane, ad essere responsabile, a comprendere che le parole dette o scritte possono ferire più di mille pallottole. Genitori responsabili, presenti e vigilanti possono aiutare a porre l’enfasi sulle qualità interiori e non ricercare smodatamente un riconoscimento purchessìa mettendo il tuo sacro corpo, tempio di tutti i tuoi valori, nella vetrina del macellaio mediatico.


Body Positivity, reazione necessaria ma non sufficiente
E se bastasse un cambio di paradigma? Il movimento del Body Positivity è una reazione necessaria e sacrosanta. Cerca di contrastare, con messaggi di accettazione incondizionata e amore, ogni aspetto del proprio corpo, a non provare vergogna e a reclamare il diritto di essere come si è senza doversi nascondere o temere di provare cocente vergogna. A riprova del tentativo amorevole di essere accettati senza condizioni, vi sono campagne pubblicitarie di grandi marchi che hanno iniziato a usare modelle decisamente più ‘in carne’ o con caratteristiche estetiche ‘fuori canone’.

Recentemente hanno fatto il giro del web le foto in bikini di Claudia Gerini che ammette che avrebbe potuto darsi da fare di più in palestra ma che, tutto sommato, va benissimo anche così, e il video di Nancy Brilli che ironicamente si chiede se quest’anno stia superando la prova costume e alla fine… sì, ma chi se ne importa!
Ma si sa, ogni reazione è solo una risposta condizionata, e in questo caso lo è dalla violenza e bassezza dei commenti che si scatenano feroci. È bene reagire? Forse sì, o sì ma fino a un certo punto. Il grande maestro indiano Jiddu Krishnamrti diceva che quando reagiamo smettiamo di essere liberi e che la reazione non fa che alimentare ancora di più la provocazione alla violenza a cui siamo soggetti. Ci dice anche che è nell’azione, piuttosto che nella re-azione, che esercitiamo la nostra autodeterminazione e libertà di essere. Visto che tutta questa faccenda chiama in causa degli inglesismi che ci aiutano a fare sintesi sui significati, proviamo a proporre una terza via, una specie di nobile via di mezzo tra Body Shaming e Body Positivity, cosa ne dite di MYOB? Ovvero, Mind Your Own Business, quindi occupati degli affari tuoi. Ma potrebbe anche essere inteso come My Own Body, cioè il mio proprio corpo.
Cosa vuol dire?
Nel primo caso è un invito a occuparsi di se stessi, nel rispetto di sé e del prossimo, avendo la delicatezza nelle parole, nelle azioni e in quello che staremo per digitare ogni volta che qualcuno incautamente si sarà esposto e ogni volta che pensiamo che condividere la nostra sacra vita sia necessario, quando magari andrebbe protetta e preservata nel nostro cuore.
Nel secondo caso, cioè il mio proprio corpo, è un invito a proteggerlo e innalzarlo a scrigno prezioso della nostra essenza.
Facendo così per noi stessi saremmo portati, probabilmente, a trattare gli altri nello stesso modo.
(La foto in evidenza è tratta dal profilo Instagram di Armine Harutyunyan)