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INTERVISTA. Francesco Costa e il mestiere del giornalista: “Infodemia, ecco come combatterla”

Di Francesca Mulas
29/01/2022
in Comunicazione e società
Tempo di lettura: 5 minuti
INTERVISTA. Francesco Costa e il mestiere del giornalista: “Infodemia, ecco come combatterla”

Informarsi non è un passatempo da affrontare con distrazione: richiede tempo e impegno. Solo così possiamo fare fronte al caos di informazioni da cui siamo costantemente bombardati. Ne è convinto Francesco Costa, vicedirettore del Post che dal maggio scorso accompagna il risveglio di migliaia di italiani e italiane con “Morning”, amatissima e attesa rassegna stampa su Podcast che in poco più di venti minuti racconta notizie e fatti del giorno. E’ un caso esemplare, quello di “Morning”, tra i podcast più ascoltati in Italia grazie a un fortunato mix di autorevolezza, linguaggio semplice e colloquiale, riflessioni sempre pacate. Un successo anche social, che testimonia un pubblico di ascoltatori attento e affezionato.
Francesco Costa, siciliano, 38 anni, lavora come giornalista dal 2008; dopo diverse collaborazioni con quotidiani e periodici, nel 2010, anno della sua fondazione, è entrato nella squadra de Il Post. “Morning” non è il suo primo podcast: nel 2016 ha dato vita a uno dei primi podcast italiani indipendenti, “Da Costa a Costa” sulla società americana, realizzato grazie a un crowdfunding che ha raccolto in quattro anni oltre 140 mila euro.


Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata sul giornalismo tra infodemia, qualità e innovazione.

La foto è di Marco Ragaini

Togliamoci subito la domanda più difficile: come sta la stampa italiana?
Difficile davvero rispondere, il giornalismo oggi si trova in mezzo a due crisi, una economica, legata al fallimento dei modelli con cui finora si costruivano profitti, sia sul cartaceo che on line; e una professionale sulla qualità media dell’offerta che non è particolarmente alta, con tutte le eccezioni del caso. C’è poi il tema di chi legge i giornali, visto che ormai il pubblico precedente è in via di estinzione.

Già, il pubblico. Chi legge i giornali oggi?
Soprattutto pensionati, che continuano a comprare giornali e seguire le trasmissioni giornalistiche in tv. I settimanali italiani, invece, sono in crisi profondissima, ma lo sono anche le testate web che faticano ad avere ricavi significativi, e quelle che forniscono contenuti a pagamento, spesso offerti a costi bassissimi pur di tenere con sé gli abbonati.

C’è un segreto per trovare nuovi lettori, giovani o adulti?
Se lo conoscessi avrei un Sacro Graal tra le mani. Bisongna cercare di creare prodotti effettivamente interessanti, le persone spendono volentieri dei soldi se pensano che quella spesa sia utile e risponda a un bisogno. C’è una vastissima offerta informativa gratuita, ma se vuoi convincere le persone a pagare devi dare qualcosa in più. E poi il linguaggio: se vuoi parlare ai giovani devi usare un linguaggio diverso rispetto a quella che parla oggi la gran parte dei giornali, devi pensare in modo diverso, e anche far in modo che a lavorare sui giornali ci siano le persone più giovani.

“Morning” è riuscito a conquistare il pubblico. E’ la formula del podcast che può attrarre nuovi fruitori?
Il giornalismo non è solo scrittura, ci sono i podcast, i social media. Ma la risposta non è solo questo, il prodotto principale de Il Post è il giornale on line e le persone si abbonano per leggerlo e sostenerlo, nonostante sia gratis e leggibile da tutti e tutte: abbiamo creato una comunità di persone che sa che quel giornale esiste grazie alle persone abbonate. Il successo non passa dall’innovazione di un certo strumento ma dalla qualità del lavoro che fai e da quanto le persone lo percepiscono come utile. Quando abbiamo creato “Morning” abbiamo pensato che potesse essere un prodotto agile che si ascolta mentre si fa altro, la mattina, quando non si ha il tempo di leggere, con riassunto e analisi dei temi della giornata e le indicazioni per chi vuole approfondire. Oltre a questo c’è anche un lavoro di analisi critica della stampa: non ci limitiamo a dare le notizie ma proviamo a spiegarle, e lo facciamo con la lingua di ogni giorno, non quella artefatta dei giornali. Abbiamo iniziato senza sapere cosa sarebbe successo, ed è piaciuto.

La stampa italiana è stata molto criticata per come ha gestito le informazioni sul virus.
Non ce la siamo cavata benissimo: la quantità di cose false, allarmiste e imprecise uscite sui giornali italiani durante la prima ondata di contagi è stata grandissima. E non dipende solo dal fatto che il virus fosse una cosa nuova, dato che vediamo la stessa confusione ancora oggi con i provvedimenti del governo, i dpcm, le bozze e i retroscena accanto ai documenti ufficiali, e poi i titoli sulla variante omicron che parlavano di incubo e terrore. Vedo il desiderio di catturare l’attenzione delle persone spaventandole, e questo accade solo in Italia: all’estero hanno smesso di parlarne ogni giorno, anche perché di fatto non ci sono sempre tante cose da dire sulla pandemia.

Dal virus alla scienza in generale e alla politica vediamo sempre più diffusi atteggiamenti antiscientifici, populisti e antipolitici. Forse abbiamo un problema di comunicazione su certi temi?
Credo di sì, e non è un tema solo italiano. Riguarda la politica e la scienza, certo, ma soprattutto la stampa e chi dovrebbe comunicare e informare per mestiere. La gran parte dei giornali italiani non ha più giornalisti scientifici, e dunque le notizie sulla pandemia sono affidate a chi non ha competenze, con i risultati che abbiamo visto, oppure delegate a medici e virologi che però non sempre hanno capacità comunicative e spesso danno voce a opinioni, previsioni e scenari. Il risultato? La confusione. E dove c’è la confusione si alimentano le teorie del complotto, che spiegano cose complesse in modo semplice.

Chiudiamo con un suggerimento: cosa consiglieresti a un lettore o una lettrice che non sa come districarsi nella mole di informazioni e notizie da cui siamo circondati?
Ecco il mio consiglio: considerare l’informazione una attività che richiede un piccolo impegno. La maggior parte delle persone si espone all’informazione quando apre Facebook e i social e vede le notizie condivise dall’algoritmo, o accende la tv e sente i titoli dei telegiornali. Questo non è informarsi, informarsi richiede un piccolo investimento di tempo e un po’ di impegno, è come seguire una dieta equilibrata, andare in palestra: serve dedicare mezz’ora a leggere un giornale dall’inizio alla fine; non esiste una sola dieta mediatica, si può scegliere secondo i propri gusti, inclinazioni e desideri, è l’impegno costante che fa la differenza. Solo così ci si sente meno confusi.

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