Quando nel 1996 fa il suo esordio in libreria “Fight club” di Chuck Palahniuk, le reazioni della critica non si fanno attendere: violento, insensato, bellissimo, sono alcuni degli aggettivi usati per definirlo. Era dal 1991, quando uscì “American Psycho”, romanzo di Bret Easton Ellis, che non venivano raccontate storie di ordinaria follia con tale potenza immaginifica. Diversi, ma accomunati nel preciso intento di costituire un disturbo alla quieta e dormiente vita borghese, i due protagonisti rappresentano l’emblema stesso del Caos eletto sovrano. In chiave più fumettistica questo spirito di rivalsa appare nei vari film di Batman dove i reietti, gli psicopatici, i rifiuti della società, mirano a sovvertire il sistema annullando le differenze, finalmente, tra ricchi e poveri. Anche il recente film interpretato da Joaquin Phoenix, “Joker” porta all’attenzione generale lo squilibrio palese di quella che chiamiamo civiltà, mettendo in luce il disequilibrio che nasce dal non essere visti, dal non essere accolti. E le nostre vite sono davvero così lontane dalla finzione delle pagine di un libro e dalle sequenze sul grande schermo? Non viviamo forse un’epoca di squilibri nettissimi tra benessere e povertà, votata al consumismo e alla performance, spesso a danno di chi resta indietro o che consideriamo inadeguato agli standard?
Ce lo chiediamo ancora una volta, davanti alla bella e accurata trasposizione teatrale della compagnia cagliaritana Artisti fuori posto, portata in scena per la prima volta nel capoluogo sardo al Teatro Massimo. “La prima regola del Fight Club” rinverdisce dramma e ironia di quest’opera visionaria con capacità e senso del ritmo e sarà replicato sabato 29 aprile a Sinnai alle 20.30 al Teatro Civico, e sabato 6 maggio a Elmas alle 20.30 al Teatro Maria Carta. In scena con Alessandro Pani e Filippo Salaris (che firmano anche la regia) anche Piero Murenu e Noemi Medas, e, al loro esordio a nostro avviso perfettamente riuscito, Alessio Arippa, Alessandro Redegoso, Valentino Pili e Paolo Salaris.
L’intensità e la naturalezza con cui la storia scorre sul palco rivela quanto ancora oggi siano valide quella follia e quella minaccia, quanto la bolla dorata in cui la maggior parte di noi ha deciso di vivere sia stretta, asfittica, a volte insopportabile e di come sia lancinante l’urlo interiore che scaturisce dal realizzare che siamo inadatti agli standard che vorremmo raggiungere e interpretare al meglio. Quella voce insistente nella nostra testa si fa carne e porta il caos, come Tyler, il celebre alter ego del protagonista di “Fight club”.
Il tema del doppio, dell’ingiustizia sociale, della rivendicazione ad una vita diversa e a una libertà negata, sono le colonne portanti e il senso di questo dramma in cui non mancano, nell’attenta messa in scena degli Artisti fuori posto, momenti di ironia amara e sincere risate. Convincente Noemi Medas nel ruolo di Marla Singer, che incarna illusione d’amore senza etichette, la fine della donna dell’immaginario dantesco, la sfida alla felicità, lo scontro con una mascolinità tossica che divora.
La riflessione che lo spettacolo propone è onesta ed equilibrata, arriva diretta allo spettatore grazie al dinamismo attoriale ma anche all’utilizzo di pannelli mobili, luci accurate e contributi video che amplificano l’aspetto straniante già in seno alla trama.
La scenografia, efficace e versatile, racconta il consumismo, l’accumulo, e allo stesso tempo l’inutilità di questa corsa all’avere. Le musiche sono quelle che abbiamo ascoltato nella versione cinematografica del romanzo, con protagonista Brad Pitt, del 1999. Suonano ancora adatte, in particolar modo “Where Is My Mind?” dei Pixies, che con struggente malinconia ci guida verso la contemplazione di un’inevitabile disfatta, rassegnati, impotenti spettatori di una rovina di cui siamo artefici e vittime.