Che strana parola, non proprio di uso comune o almeno non quanto il suo significato. Ogni tanto mi avvalgo del mio suggeritore di fiducia che, stavolta, mi ha indicato questo termine, invitandomi a rifletterci.
Xenobio indica un essere vivente straniero, estraneo o ospite, non originario del luogo in cui si è adattato. Straniero, estraneo e ospite non sono esattamente sinonimi, o almeno non nel significato affettivo che li investe.
Straniero è una parola che sempre più incute timori, lo sconosciuto che, magari, viene a occupare i nostri territori, a prendere spazi che secondo noi non gli competono, a rubare il lavoro (ossimoro totale), a conquistare le femmine.
Estraneo è, affettivamente parlando, chi non è coinvolto nei fatti che si stanno svolgendo, come se fosse indifferente, neutro, e in questa accezione ci fa sentire forse meno minacciati.
Ospite è chi arriva e trova accoglienza, ma anche chi accoglie. È un termine che nel suo doppio significato ci aiuta a sovrapporre chi abbraccia e chi viene abbracciato, come se i due soggetti e i due atti fossero le metà di un’unica cosa. Meraviglioso.
Xenobio reca anche il tema dell’adattamento. Cosa significa adattarsi? Vuol dire riuscire, con strategie e risorse proprie, a sopravvivere in un ambiente, in questo caso diverso da quello di origine. Ma non è detto che il terreno delle nostre radici sia proprio adatto alla sopravvivenza, oppure siamo dei semi alati che, come tali, hanno il dovere si spostarsi per infilarsi nella nuova terra che ci accoglierà maternamente per dare origine a una nuova forma di vita.
Adattarsi significa scoprire. Chi si adatta è un esploratore, qualcuno che con lo spirito del ricercatore e a causa di uno stato di necessità, deve perlustrare la nuova zona in cui si trova e comprendere in che modo, in base alle proprie capacità e qualità, possa in essa vivere.
Sopravvivere o prosperare? Non sono esattamente la stessa cosa. La sopravvivenza è la garanzia del soddisfacimento dei bisogni di base e questo può andare bene per piante o animali, ma per l’uomo il livello minimo non è sufficiente ad un completo adattamento. Poiché l’essere umano ha iniziato il suo percorso creativo che implica la messa in gioco di doti, talenti, passioni, secondo preferenze, interessi e motivazioni, non sarà possibile dirsi adattato, quindi pienamente soddisfatto, se non avrà tentato la sua piena realizzazione. Quando l’essere si realizza, mette un mattoncino nel muro dell’eternità. Così si crea l’uomo saggio.
Il Tao Te Ching, nel secondo aforisma, recita:
“Sotto il cielo tutti vedono ciò che è bello soltanto perché esiste il brutto.
Tutti sanno che il bene è bene soltanto perché esiste il male.
Essere e non essere si generano a vicenda. Il difficile e il facile sono complementari.
Il lungo e il corto si definiscono reciprocamente, così come l’alto e il basso.
Non c’è prima senza dopo e viceversa.
Perciò il saggio vive con apparente dualità a paradossale unità.
Il saggio può agire senza sforzo e insegnare senza parole.
Nutre le creature senza appropriarsene, lavora, ma non per la ricompensa; compete, ma non per il risultato.
Compiuta l’opera, se ne dimentica. Per questo dura in eterno”.
Essere stranieri ma anche famigliari, estranei ma presenti, ospiti e ospitanti. La vita richiede completezza e completamento e nel percorso verso un sempre maggior grado di luce tutti possiamo fare uno sforzo di adattamento di solo apparenti polarità.