I Giochi olimpici Tokyo 2020 volgono al termine. Oltre al tifo e alla competizione sportiva, questa edizione delle Olimpiadi è stata, molto più delle precedenti, un’occasione per riflettere su concetti più ampi, profondi e magari più duraturi rispetto alla vittoria in una competizione.

Il Fair Play, l’etica del gioco, va al di là di qualunque medaglia: è il rispetto degli avversari, il valore dello sport, lo spirito del gruppo che prevale sull’individualismo. Se conosciamo bene le premiazioni con medaglie d’oro, argento e bronzo per i vincitori delle competizioni, meno noto ma altrettanto prestigioso è il premio del Fair Play, ovvero la medaglia Pierre de Coubertain, noto anche come medaglia del vero spirito sportivo, dedicata al barone francese vissuto tra il 1863 e il 1937 considerato il fondatore dei moderni Giochi Olimpici.
Istituito nel 1964 dal Comitato Olimpico Internazionale, è destinato a quegli atleti che, durante i Giochi si sono distinti per lo spiccato spirito sportivo, andando ben oltre i meriti in ambito atletico e abbracciando in pieno il concetto di “Olimpismo”.
Il trofeo del fair play, perciò, dà voce al significato richiamato dalla stessa bandiera olimpica, nella quale i cinque anelli colorati su sfondo bianco simboleggiano, per via del loro intreccio, l’unione, l’amicizia e la cooperazione dei cinque continenti presenti all’evento.

Il primo fair player della storia
Il primo trofeo è stato consegnato a un italiano, Eugenio Monti, durante la finale di bob a due nei giochi invernali di Innsbruck del 1964: Monti prestò uno dei suoi bulloni di riserva agli avversari inglesi, consentendo loro la vincita della medaglia d’oro e accontentandosi di quella di bronzo. Piace pensare che il riconoscimento del premio derivi non tanto dal gesto in sé, quanto dalla successiva dichiarazione per cui la vittoria non fu dovuta al bullone prestato, ma alla maggiore velocità degli avversari.
Il fair player postumo

Luz Long, tedesco, medaglia d’argento e favorito ai giochi olimpici di Berlino del 1936 nella disciplina del salto in lungo, ha ricevuto il riconoscimento postumo nel 2000 per la solidarietà dimostrata nei confronti dell’atleta americano Jesse Owens, il quale, proprio grazie ai consigli di Long, conquistò l’oro e il gradino più alto del podio, sotto gli occhi di Hitler, probabilmente incredulo di fronte a questo legame interraziale favorito dallo sport e dal suo vero spirito.
I non atleti
Il bello di questo riconoscimento è che può essere consegnato anche ai non atleti. Come nel caso dell’arbitro di Singapore Michael Hwang, premiato durante i giochi asiatici del 2014 per l’attività svolta all’interno del Tribunale Arbitrale dello Sport. Prima di lui anche il giornalista canadese Richard Garneau ricevette l’onorificenza per le sue 27 edizioni di cronaca.
Il più spericolato
Lawrence Lemieux, canadese e campione di regata, durante i Giochi di Seul 1988 ad un passo dalla medaglia d’argento, non esitò un istante a cambiare improvvisamente rotta per soccorrere gli avversari sorpresi da una tempesta, cosa che lo portò a classificarsi al ventiduesimo posto. Mai la coda della classifica fu più onorevole.
La fair player più femminista, la più commovente (e l’ultima beneficiaria finora)
Alle Olimpiadi di Rio de Janerio 2016 la neozelandese Nikki Hamblin, pur arrivando ultima nella qualificazione dei 5 mila metri femminili, tornò a casa con un riconoscimento ben più elevato e una nuova amica. Durante la corsa si verifica uno scontro tra la Hamblin e l’americana Abbey D’Agostino, che comportò la caduta di entrambe. Senza badare a di chi fosse la responsabilità principale, le due proseguirono la gara con ulteriori cadute, seguite da commoventi gesti di aiuto reciproco, senza più abbandonare l’altra. Taglieranno insieme il traguardo per ultime ma sorreggendosi a vicenda.
La consegna del premio non è soggetta a regole fisse, ma al presentarsi dell’occasione; per quest’anno ancora nessun trofeo per il fair play all’orizzonte. Attendiamo speranzosi fino all’ultimo il ricrearsi di un momento degno del riconoscimento.
E dopo tanta serietà perché non sdrammatizzare con un altro premio alternativo? La medaglia di legno, cioè il (magro) riconoscimento a quegli atleti che hanno visto il podio sfumare sotto i loro occhi come il panorama che scorre dal finestrino di un treno. Per ora è ancora immaginario, ma forse presto sarà istituito e magari ambito quanto gli altri.
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