Quando in Italia parliamo di batteristi jazz, il nome che viene subito in mente è quello di Roberto Gatto. Il noto drummer capitolino approda lunedì 29 aprile alle 20.30 al Bflat di Cagliari e martedì 30 alle 22.00 al Poco Loco di Alghero per la settima edizione di JazzAlguer, data che cade in occasione dell’International Jazz Day promosso in tutto il mondo dall’Unesco nel 2011. Al suo fianco ci sarà il Perfect Trio, dove da anni militano Alfonso Santimone al pianoforte e Fender Rhodes e Pierpaolo Ranieri al basso elettrico. Nel club algherese terrà inoltre alle 16.00 una masterclass, cui seguirà la presentazione del suo libro didattico Jazz Drum Book. “Il gruppo nasce all’insegna dell’improvvisazione, per cui ogni volta suoniamo qualcosa di diverso” precisa Gatto. “L’improvvisazione è al primo posto, anche se nel corso del concerto possono saltare fuori riferimenti alla tradizione, come nel caso della musica di Duke Ellington, oppure al mondo della canzone e a quello delle colonne sonore”.
A proposito di Ellington, quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla scomparsa avvenuta nel maggio del 1974.
“Ellington è stato un maestro inarrivabile, anche soltanto ricollegandolo al mondo del jazz. Un pioniere nel scrivere la musica e orchestrarla. Recentemente riascoltavo una versione di Caravan dei primi anni Quaranta. In questo periodo mi sto dedicando molto alla scrittura per organici di ampio respiro: big band e orchestra sinfonica. Il suo modo di orchestrare era incredibile e anticipava di molto i tempi in cui era sulla scena. La sua rimane una grande scuola classica messa al servizio del jazz. Ellington è stato prima di tutto un musicista colto”.
Cosa succede nel trio quando i solisti si “arrendono” l’uno all’altro? Si riesce a “scomparire” all’interno di questa formazione?
“Ciò che capita nel Perfect Trio è un’alchimia particolare. La nostra è un’avventura che inizia e finisce nel giro di un’ora e poco più, per poi ricominciare la volta successiva. Ci sono giorni dove lavoriamo solo sull’improvvisazione, altri invece in cui abbiamo bisogno di punti di riferimento. Sprigioniamo un’energia che circola in un certo modo ed è soggetta a oscillazioni. Ogni sera prendiamo dei rischi e ne siamo consapevoli”.
Se il jazz è fatto di continue innovazioni, stiamo veramente ascoltando del jazz oppure altro?
“In questi ultimi anni mi è capitato di suonare tantissimo a New York, dove mi sono comprato una casa. Confrontandomi con musicisti americani, mi sono fatto un’idea chiara del jazz, di come lo vivono oloro che lo suonano. Persone che credono in quella musica e che continuano a studiare un linguaggio preciso. Mi piace molto collaborare con loro, non perché siano più bravi di noi, ma perché sono proprio dentro quella musica”.
I jazzisti americani danno molta importanza al tempo, al ritmo. Noi invece all’armonia e alla melodia, visto che abbiamo alle spalle secoli di altra musica.
“Il ritmo non è l’aspetto che contraddistingue i musicisti europei e questo ritengo sia un punto di debolezza rispetto a quelli d’oltre oceano. Ho avuto modo di parlare spesso con grandi solisti statunitensi con cui ho suonato, penso a Pat Metheny, che un giorno mi disse: ‘Nonostante suoni da tanti anni, continuo a studiare il ritmo”. Anche Mark Turner mi disse la stessa cosa: ‘Studio continuamente il ritmo”. Quando insegno al Conservatorio, non mi stanco mai di sottolineare la sua importanza. Bisogna interpretarlo nel modo migliore”.
Ha suonato con tanti jazzisti importanti ma anche con tanti blasonati nomi del pop e del cantautorato di casa nostra: Mina, Paoli, Fossati, Morandi, Cocciante, Dalla, Daniele, giusto per ricordarne qualcuno…
“Sono state delle belle parentesi. Conservo bei ricordi di tutti quanti. Con Dalla registrai un disco e feci qualche concerto. Solo in un secondo momento mi resi conto della sua grandezza.
Qual è il suo strumento preferito dopo la batteria.
“Il pianoforte. Lo uso per studiare e scrivere. Devo dire però che negli ultimi tempi il mondo della composizione e dell’orchestrazione hanno assorbito tantissimo del mio tempo”.
In agosto sbarcherà a Berchidda per Time in Jazz.
“Sono felice di ritornarci anche perché non suono nel festival di Paolo Fresu da parecchi anni. Presenterò un progetto dal titolo “Time and life” sulla musica di Tony Williams che, oltre a essere stato uno dei batteristi più influenti del jazz, fu anche un raffinato compositore”.
Archiviato il concerto di Roberto Gatto, il Bflat accoglierà il 24 maggio alle 21.30 Dado Moroni, il più americano tra i nostri pianisti jazz, stimatissimo in America dove ha suonato con Ron Carter, Freddie Hubbard, Chet Baker, Dizzy Gillespie e molti altri ancora. Il fuoriclasse della tastiera sarà accompagnato da Bebo Ferra alla chitarra, Riccardo Fiorentino al contrabbasso e Francesco Sotgiu alla batteria. In luglio approderà a Umbria Jazz con i billevansiani Eddie Gomez e Joe LaBarbera.
(la foto di Roberto Gatto è di Angela Bartolo)