Londra 3 luglio 1973. All’Hammersmith Odeon va in scena il commiato di Ziggy Stardust. Con ‘Rock n Roll Suicide’, atto finale dello show, muore per sempre l’uomo che parlava con gli extraterrestri. David Bowie all’apice del successo è esausto. Stanco di indossare i panni di quel suo alter ego annuncia : ” Questo non è soltanto l’ultimo show del tour, ma sarà il nostro ultimo show in assoluto “. La band, la stampa, i fans rimangono sconcertati. Il tour nordamericano salta e a breve cesserà anche il rapporto con gli Spiders of Mars e Mick Ronson. Il 7 febbraio 1974, nello show televisivo Top Pop del canale olandese AVRO appare un tizio vestito da pirata che si fa chiamare Halloween Jack e canta in playback un pezzo che sembra uscito da un disco degli Stones di un decennio prima. David Bowie è rinato con una delle sue infinite metamorfosi. Il punk e la new wave sono dietro l’angolo e il tragicomico clown d’altri mondi ormai è soltanto un ricordo sepolto assieme alle ceneri del glam. Sta per cominciare la rivoluzione e David Robert Jones vuole ancora una volta essere protagonista ripartendo da quello che diverrà un vero e proprio inno alla diversità.

Rebel Rebel viene partorita fra gli ultimi giorni del 1973 e i primi del 1974. Per Bowie sono le ultime giornate al Trident Studio che lo aveva ospitato per tutte le registrazioni dal 1968 in poi, prima di traferirsi nei Paesi Bassi per incidere il nuovo pezzo.
Un riff di grezza fattura che profuma di garage e ‘Satisfaction‘ segna l’abbandono di quello che Lennon definì il “rock n’ roll col rossetto”. Il glam viene lasciato a una nuova generazione di giovani cloni con molti lustrini e poca fantasia.
Quella sequenza di accordi in Re – Mi – La, accompagnata da un cantato che fa spudoratamente il verso all’amico Mick Jagger, al quale Bowie ruba anche l’idea per la copertina di ‘Diamond Dogs’, è una vera e propria bastonata in testa. A me arriverà parecchi anni più tardi e non ne uscirò incolume.
Correva l’autunno del 1998. A Cagliari si poteva ancora andare al cinema in centro città e non nei multisala. Al New Odeon di Via Orlando proiettavano ‘Radio Freccia’, ovvero la provincia emiliana degli anni settanta raccontata nell’esordio cinematografico di Luciano Ligabue. Rimasi colpito subito dalla colonna sonora, ma fu nel momento in cui Freccia termina il suo monologo esistenzialista ( uno dei più belli degli ultimi lustri del cinema italiano) che balzai letteralmente sulla poltroncina.

Conoscevo già ‘Changes’, ‘Starman’, ‘Let’s dance’ e ‘Heroes‘ ma fu proprio ‘Rebel Rebel’ – risulta quasi superfluo aggiungere che negli anni a venire sarebbe diventata ospite fissa dei miei rock-set – a scatenare in me una passione smisurata per il Duca Bianco.
Passione che qualche anno fa mi portò a sognarlo in modo reale, realissimo, nitido, vero; vestito con un abito azzurro, mentre discorrevamo amichevolmente nel salottino di un albergo che poi si è trasformato magicamente nella camera dei miei genitori. Fumavamo Chesterfield Blue cento’s, chiacchieravamo di musica e arte con me che per l’emozione non riuscivo a scattargli una sola foto decente. Ad un certo punto mentre discutevamo di ‘The Man Who Sold The World’ e di quanto la cover dei Nirvana fosse servita a farle acquisire una nuova popolarità, di colpo mi ritrovai con lui in fila per entrare al Planetarium di Cagliari, quasi volesse mostrarmi dove dimoravano ancora Ziggy Sturdast o il Major Tom. Fu un vero sballo ma giuro che non mi drogavo affatto.
Il 10 gennaio del 2016 David Bowie si è congedato dal mondo dei vivi lasciando ai superstiti un’eredità artistica incommensurabile.
Ci sono periodi nei quali il suo ricordo mi pervade a allora lo ascolto assiduamente. Da qualche settimana, ad esempio, mi sveglio ogni mattina con una sua canzone. Mi piace come sensazione, mi fa stare bene. Assieme alle note scorrono le immagini di quell’alieno androgino, paranoico, nichilista, ambiguo, tossicomane, provocatorio che in modi diversi ha condizionato l’esistenza di molte persone e fra queste ci sono io che rimango incantato, come se fossi spettatore di una sorta di sfilata virtuale perpetua, con quell’ angelo dai capelli rossi che in ogni cambiamento, in ogni travestimento e in ogni trasformazione ha semplicemente cercato e trovato se stesso, mostrando al mondo il valore della diversità.
Quando ascolto o in serata faccio partire ‘Rebel Rebel’ scatta ancora la stessa sensazione di quell’autunno del 1998, una botta di adrenalina che m’ impedisce di stare fermo un solo istante. In quei quattro minuti e poco più potrebbe anche arrivare l’apocalisse, continuerei comunque a ballare. Hot tramp, I love you so! Don’t ya?