Il mito è la fonte dell’umanità, “l’infanzia dell’umanità”, come scriveva Kàroly Kerényi, uno dei filologi più importanti del Novecento, in Gli dèi e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita della civiltà, tra i punti di riferimento del pensiero occidentale. “Tragùdia – Il canto di Edipo” è l’ultima avventura del regista, sceneggiatore e costumista Alessandro Serra, proposta dal Cedac il 20 gennaio alle 20.30 al Comunale di Sassari e dal 22 al 26 al Massimo di Cagliari, con Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Jared McNeill, Chiara Michelini, Felice Montervino, Bruno De Franceschi, voce e canto.
“L’idea di questo spettacolo è maturata in un quarto di secolo”, precisa Serra: “Mi ha spinto il desiderio di attingere alla sorgente del teatro. Nel V secolo a. C. gli ateniesi hanno drammatizzato la propria mitologia in una forma d’arte che è al contempo religiosa, politica e popolare. Ci sono due momenti nevralgici: Atene nel V secolo e Londra a cavallo tra il 1500 e il 1600. Tutto il resto sono divagazioni sul tema, mirabili o meno ma sempre di rango inferiore. Per rigenerarci quelle sono le fonti del tragico e del comico”.
Cosa l’ha spinta a utilizzare il grecanico e non l’italiano?
“L’italiano è una lingua meravigliosa ma inadatta a incarnare forze e a tradurre in suono gli archetipi. Si può fare in parte ma non tutte le opere si prestano. Nel caso dei tragici diciamo che l’italiano contribuisce a scivolare verso la prosa e il sentimentalismo, trasformando gli eroi in personaggi e gli archetipi in sentimenti patologici. Gli eroi come gli dei non sono che figurazioni di forze psichiche, non si dovrebbe trattarli come persone in preda a sentimenti e situazioni. Il grecanico è una lingua antica ma ancora viva e altamente musicale. Ciò aiuta a staccarsi dal piano della recita del reale”.
Cos’altro c’è di nuovo rispetto ad altre drammaturgie ispirate al sovrano di Tebe?
“Seguo le tracce lasciate da Grotowski: ‘Non cerco qualcosa di nuovo, ma qualcosa di dimenticato. Una cosa talmente vecchia che tutte le distinzioni tra generi artistici non sono più valide’.
La vita di Sofocle si intreccia a quella di Edipo proprio nel momento in cui tutti e due si trovano a un passo dalla morte…
“Sofocle divenne sacerdote e probabilmente cercò, attraverso il mezzo comunicativo più potente dell’epoca, di suggerire una via. La stessa che tracciarono in qualche modo gli alchimisti con ‘La grande opera’: per farsi anima ed essere assorbiti dalla luce occorre passare dal nero della propria infanzia”.
Con la morte di Edipo si chiude l’era in cui gli dèi camminavano tra gli uomini e anche la breve e immortale storia della tragedia greca.
“Oggi non viviamo l’epoca della Tragedia ma della farsa. Non possiamo far altro che iniziare a soffiare sulle braci e riedificare dalle macerie”.
Lo sfortunato eroe di Sofocle è stato oggetto di molte riflessioni da parte del mondo letterario e della psicanalisi.
“Pur essendo Freud un genio inarrivabile, di fatto però il complesso di Edipo è stata una grande menzogna da lui inventata per coprire lo scandalo degli abusi sui bambini, una verità ancor oggi drammaticamente presente che egli scoprì e definì ‘teoria della seduzione’. Poi si sa, ritrattò e inventò il complesso di Edipo, meccanismo peraltro del tutto assente in Sofocle. Il mito di Edipo inizia da una maledizione ai danni di Laio, suo padre, il quale aveva usato violenza a un bambino. E così Edipo nasce per sbaglio, gli vengono trafitti i piedi ed è condannato a morte dai suoi genitori. Edipo è colui che risale all’origine di questo orrore per redimere sé stesso. Redimendo sé stessi si redime l’umanità”.
Se questo articolo ti è piaciuto ti invitiamo a condividerlo e, se puoi, a sostenerci con una donazione a questo linki