Quanto tempo può passare prima che una vendetta venga consumata con la più gustosa delle soddisfazioni? La risposta ce la fornisce Salvatore Niffoi in “Nate sotto una cattiva Luna”, suo ultimo romanzo, il primo scritto dall’autore oranese per La nave di Teseo: anche trenta, lunghi, anni. Va così, per esempio, quando l’onta da lavare è nei confronti della propria madre, Basilia Pistichinzu, che, ancora giovanissima, nell’immaginario paese barbaricino di Bodoloi alla fine degli anni Venti del secolo scorso, ebbe la vita distrutta da un branco di uomini “tutti ammogliati e in cerca di quello che non trovavano nel letto di casa” che, tramutati in belve, si presero la dignità, il corpo e la serenità della donna in cambio di un segreto da custodire. E la vendetta, se gli angeli della morte sono sei giovani donne educate e auto-educatesi a suon di dolcetti, amore e guerra, arriva con la deflagrazione di un meteorite sulla meschinità dei benpensanti e dei poveri di spirito.

Urge una premessa per chi non avesse mai letto un romanzo di Niffoi. Le sue storie ricordano, per schema narrativo, quelle dei film di Hitchcock: non vi si può cercare la verosimiglianza a tutti i costi, sennò ne uscirà un’interpretazione deludente e sfasata; questo non significa che ci si trovi di fronte a un racconto fantastico. Le trame di Niffoi, srotolate, come è sua abitudine, in un dottissimo italiano impastato con il sardo laddove non sia altrimenti possibile rendere quel concetto con la stessa pienezza, raccontano vicende immerse in una realtà universale con una tecnica da mastro vetraio: nella linea pur costante del tempo, le parti più funzionali al racconto vengono soffiate per divenire una bolla rigonfia di pathos, di sensazioni ancestrali, di realtà vestita solo della sua crudezza; altre, anche più significative per durata, sono ridotte a meri elementi di raccordo.
Ciò che ne risulta, in “Nate sotto una cattiva Luna”, è un’opera multistrato che celebra il potere del Femminino – terribile e temibile ma pur sempre creativo e capace di Pietà, anche davanti al peggiore degli esseri umani – su una mascolinità che, nel romanzo, quando non è maligna è perlomeno passiva e reazionaria. A partire dalle sei gemelle Serathula, eroine Marvel della Sardegna del secondo Dopoguerra, e dalla loro madre, resa da Niffoi martire nel tentativo di salvaguardare l’incolumità del marito di fronte a una rivelazione inevitabile quanto per lui dolorosa. Protagoniste che vivono immerse in un microcosmo fondamentalmente abitato da tutti i tipi umani, ma in cui il non conformarsi alla rigidità delle regole sociali di una Barbagia sì immaginaria, ma più reale di quella vera, si paga con l’emarginazione: succede alle mamas de anima – le due madri adottive – delle gemelle, alle fedifraghe, alle e agli omosessuali, o anche a chi semplicemente è convinto che i sogni vadano inseguiti se li si vuole trasformare in realtà. E l’unico uomo da salvare, non a caso, è Tziu Mercuriu Salippa, l’anarchico del paese, che vive secondo un ordinamento che rifiuta ogni costrizione esterna, sospendendo di fatto il giudizio sul mondo. La vendetta pare dunque davvero un piatto da servire freddo, ma si trasforma in sterile reiterazione degli errori quando non è accompagnata dalla compassione, intesa come capacità di leggere le conseguenze delle proprie azioni calandosi nei panni altrui.










