Il suono dei grilli nel silenzio estivo, gli abitanti affacciati alla finestra o dietro al cancello, una voce fuori campo che da un altoparlante avvisa che il paese sta per chiudere. Si può parlare di spopolamento, zone interne e del complesso rapporto tra la città e i borghi anche attraverso il cinema, come hanno fatto Sergio Scavio e Silvio Grasselli, autori del cortometraggio “Su Strangiu”, esito di un laboratorio condotto la scorsa estate nel paese di Genoni all’interno del festival Abbàida, con il coinvolgimento dei suoi abitanti nella ideazione e realizzazione.
Il corto, pubblicato online nei giorni scorsi, è il frutto di un lavoro più ampio che ha la sua cornice nel festival giunto alla terza edizione, organizzato dall’Associazione Aguaplano sotto la direzione artistica del regista sassarese Sergio Scavio con il sostegno del Comune di Genoni, Regione Sardegna, Consiglio Regionale sardo e Fondazione Sardegna Film Commission. Un festival dedicato ai borghi, che coinvolge tutta la comunità attraverso due sessioni, una estiva e una invernale, con proiezioni, residenze d’artista, laboratori e incontri con autori, registi e professionisti del mondo della comunicazione visiva provenienti da diverse parti d’Italia.
Il paese di Genoni e i suoi abitanti, oltre ad accogliere il festival, diventano ogni anno protagonisti di una riflessione comune sulla resistenza dei piccoli centri urbani a un futuro che sembra inevitabile, a meno che non si sia capaci di raccontare un’altra storia e cercare nuove strade da percorrere.
Abbiamo incontrato Scavio per parlare con lui di Abbàida e di “Su strangiu”.
Com’è nata l’idea di condurre un festival e dei laboratori nel paese di Genoni?
A Genoni, una settimana prima del lockdown nel 2020, ero stato invitato dal sindaco Gianluca Serra per presentare un mio cortometraggio, “La notte di Cesare”. Come faccio spesso, anche allora sono andato lì per alcuni giorni per conoscere gli amministratori locali, la gente e il paese e sono stato accolto da una piccola folla e dal sindaco appena eletto, molto in gamba e con grandi idee per la sua comunità. Si è creato feeling. Poi è arrivato il lockdown e si è sviluppato un ampio dibattito sul tempo e gli stili di vita, sulla possibilità di andare a vivere nei paesi, sul valore del tempo liberato e il rapporto tra la dimensione urbana e quella dei piccoli centri. Ho partecipato a questo dibattito e lì abbiamo pensato di costruire una formula che per convenzione abbiamo dovuto chiamare festival, ma volevamo fare una cosa molto lontana dalla formula festivaliera e portare persone che svolgono lavori diversi nel campo intellettuale e artistico nelle forme pù disparate, per fare delle residenze d’artisti vuote, senza obbligo di rendere un’opera finale. Una sorta di festival anti produttivo, come intenzione politica e l’abbiamo fatto, grazie all’aiuto del Comune e della Regione Sardegna. Abbiamo organizzato una prima edizione del festival nel 2020 con proiezioni e dibattiti, invitando a Genoni una decina di persone che arrivavano da varie parti, per una residenza condivisa. Da lì poi è nata l’idea di risiedere nel territorio, conoscendolo sempre più a fondo, in un lavoro di lungo termine con un processo di racconto del paese che coinvolgesse artisti e abitanti. “Su strangiu” è il racconto venuto fuori da una settimana di lavoro realizzato nell’estate 2022 con registi che arrivavano da altri lidi, uno siciliano, l’altro pugliese, tutti giovani di grande capacità e talento che hanno partecipato all’ideazione e messa in scena insieme agli abitanti del paese, soprattutto anziani. Alcuni di loro avevano già attitudini teatrali, altri nulla. Poi c’è un altro corto che uscirà a breve, con altro tema e altri registi, realizzato lo scorso dicembre nella sessione invernale di Abbàida.

Qual è stata l’accoglienza da parte degli abitanti?
All’inizio siamo stati accolti positivamente, con tanta curiosità e qualche diffidenza, questo è normale, ci hanno accolto come stranieri che fanno un lavoro straniero rispetto a quelli da loro conosciuti. C’era, come in tutti i paesi, una bava di fatalismo rispetto al presente e al futuro. Il primo lavoro è stato quello di darci credito reciprocamente. Però i numeri stanno aumentando, ci stanno adottando. Nel frattempo il progetto è cresciuto perché anche grazie alla nascita di questo festival il Comune, insieme a diversi nuovi partner, ha partecipato a un bando “borghi” del Ministero con un progetto che è arrivato terzo su centinaia di domande presentate e ha ricevuto un finanziamento di un milione e settecentomila euro. Da una piccola idea del 2020 è diventato un progetto molto più grande che non riguarda più solo il cinema. Grazie a questi fondi, infatti, ci saranno investimenti infrastrutturali per la ricettività, ad esempio nel centro del paese non c’è un albergo o un ristorante, solo un agriturismo poco fuori dall’abitato e con la realizzazione del progetto speriamo si creino le condizioni perchè queste attività prendano vita. Nel giro di quattro o cinque anni il paese avrà, crediamo, nuove chances. Questo è senz’altro merito di tante persone, soprattutto il sindaco che ci ha creduto, ma aver partecipato a quel bando che era molto competitivo ed essere arrivati terzi su centinaia di domande presentate da altrettanti paesi, fa capire che il progetto era buono. Oltre a essere una grande sfida.
Che tipo di problematiche sono emerse nel corso delle giornate laboratoriali, riguardo lo spopolamento e il vivere in un piccolo centro?
I paesi chiuderanno, sono fuori dalle leggi del mercato. Se, come ipotizzo, continuerà a governare questo sistema per cui qualsiasi cosa può funzionare esclusivamente se ha valore economico, i paesi sono destinati a chiudere. Ma sappiamo, gli abitanti dei paesi per primi, che se hanno deciso di vivere ancora quegli spazi un motivo c’è e non è economico. Hanno solo da perdere nello star fuori dal circuito delle merci, dal circuito finanziario, della conoscenza e del mercato, eppure sono ancora lì, legittimamente. Dal punto di vista del mero sostentamento, tra l’altro, in molti paesi la situazione non è affatto semplice ma paradossalmente in pochissimi ricevono il reddito di cittadinanza: esiste una sorta di economia circolare e di solidarietà per cui quasi tutti hanno ciò che serve per vivere. La nostra azione politica ed espressiva è dichiarare che esistono forme di vita alternative alla città, al pari dignitose. Personalmente non sono convinto che la soluzione sia quella di dare le case a un euro, il problema non è il costo della casa. Una volta che uno si compra la casa a un euro, investe per ristrutturarla poi cosa trova? Servizi come i trasporti, le scuole, i presidi ospedalieri vengono pian piano smantellati e sono perennemente a rischio. Ad esempio il primo anno, quando andavo lì, compravo alcuni giornali nazionali in edicola, l’anno dopo gli stessi quotidiani hanno smesso di arrivare. Uno stillicidio. Il lavoro che abbiamo fatto racconta il fenomeno erosivo e implacabile dello spopolamento ed è una azione che serve anche a dire che Genoni, un paese che è tra i più isolati che io conosca – la città più vicina è Oristano a un’ora di macchina, da Sassari sono due ore e un quarto – è un posto di cui ci si può innamorare.